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ISSN 2282-1694
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Numero 2 / 2024

Saggi

Gli assistenti sociali che lavorano nel Terzo Settore: alcune evidenze da una indagine nazionale

Marco Burgalassi, Cristina Tilli


Abstract

Nell’ultimo quarto di secolo il Terzo Settore ha rappresentato per gli assistenti sociali un importante sbocco occupazionale, ma gli studi che finora si sono interessati di loro hanno per lo più analizzato aspetti specifici della loro condizione. A partire dai dati raccolti attraverso una ricerca nazionale che ha coinvolto oltre 3000 assistenti sociali occupati nel Terzo settore, il saggio propone una ricognizione sintetica ma ad ampio spettro che da un lato delinea le caratteristiche di questa comunità professionale e dall’altro mette a fuoco alcune peculiarità del modo in cui esercita la professione. Il contributo si conclude con la prefigurazione delle possibili prospettive riguardo alla futura presenza degli assistenti sociali nel Terzo Settore.


Introduzione

A partire dalla fine degli anni ’90 il Terzo Settore ha rappresentato un contesto di lavoro nel quale la presenza degli assistenti sociali ha conosciuto una crescita continua e consistente. Sebbene per lungo tempo il fenomeno non sia stato oggetto di una rilevazione sistematica, infatti, le stime che a più riprese sono state effettuate hanno quantificato la loro numerosità in circa 2.250 unità nel 1997 (Censis, 1999), 3.900 nel 2008 (Facchini, 2010) e 9.940 nel 2017 (Turchini, 2019); mentre il dato ufficiale, che solo da qualche anno l’Ordine degli Assistenti Sociali rileva, indica in 11.010 gli iscritti che nel 2022 ha dichiarato di lavorare nel Terzo settore.

Il significativo aumento del numero degli assistenti sociali occupati in enti del Terzo Settore è maturato principalmente come conseguenza di uno dei tratti che hanno segnato la recente trasformazione del sistema italiano di welfare locale e cioè la graduale acquisizione da parte di tali enti del ruolo di principali produttori dei servizi sociali. Questo processo è stato reso possibile e agevolato dal fatto che il Terzo settore: a) ha saputo nel tempo mostrare un’importante capacità di innovazione nella realizzazione dei servizi alla persona, in particolare in alcuni ambiti di intervento (persone con disabilità, minori, immigrati); b) ha acquisito un ruolo centrale nei processi di costruzione e implementazione del sistema di welfare locale prospettato dalla Legge 328/2000; c) ha assunto la veste di affidatario delle prestazioni sociali di natura pubblica che i soggetti titolari hanno oramai in larga misura esternalizzato (Guidi, 2012; Burgalassi e Melchiorre, 2014; Turchini, 2019). In parallelo alla sua affermazione come principale produttore di servizi sociali – realizzati sia in autonomia sia, soprattutto, per conto di soggetti pubblici – il Terzo Settore è quindi divenuto anche il bacino occupazionale di riferimento per una quota sempre più corposa di professionisti (Fazzi, 2013; Busso, 2017).

Nonostante siano in numero considerevole e venga loro riconosciuto un ruolo significativo nel sistema dei servizi sociali territoriali, gli assistenti sociali che lavorano nel Terzo Settore costituiscono una componente dell’universo professionale sino ad oggi limitatamente indagata. Allorché sono stati oggetto di studio, infatti, l’attenzione è stata posta su alcune specifiche dimensioni della loro esperienza lavorativa (Fazzi 2012 e 2013; Guidi 2016), mentre è mancato uno studio ad ampio spettro in grado di fornire un quadro complessivo delle loro caratteristiche e delle loro condizioni occupazionali. È dunque per colmare questa lacuna che ha preso corpo l’idea di realizzare una indagine su questa platea di professionisti, iniziativa concretizzatasi in un accordo di collaborazione tra il Dipartimento di Scienze della Formazione della Università di Roma Tre, il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali e la Fondazione Nazionale degli Assistenti Sociali.

La ricerca si è posta due obiettivi: raccogliere un set di informazioni che consentisse di tracciare in modo dettagliato il profilo degli assistenti sociali che esercitano la professione nel Terzo Settore e i diversi aspetti della loro condizione lavorativa; verificare se alcuni dei convincimenti che il dibattito pubblico propone sul lavoro sociale nel Terzo settore trovano o meno risconto nella esperienza dei diretti interessati. In relazione al primo obiettivo, sono state approfondite le caratteristiche socioanagrafiche della platea di riferimento, la tipologia dell’ente di appartenenza, la posizione contrattuale, le modalità di ingresso nel mondo del Terzo settore, le attività che vengono svolte. In relazione al secondo obiettivo, invece, l’attenzione si è concentrata su quelle condizioni che spesso vengono indicate come peculiari di coloro che sono collocati nel Terzo Settore: un buon livello di soddisfazione lavorativa, un elevato grado di autonomia nella organizzazione delle attività, ma anche una certa instabilità e una forte insoddisfazione dal punto di vista della situazione contrattuale. La rilevazione ha utilizzato un web self administered questionnaires che è stato compilato da 3.061 assistenti sociali impegnati nell’esercizio della professione presso enti di Terzo Settore. Il campione autoselezionato è risultato rappresentativo dell’universo di riferimento (definito sulla base della banca dati degli iscritti all’Ordine) sia sotto il profilo della distribuzione territoriale dei rispondenti sia sotto il profilo della tipologia di ente presso cui essi sono occupati.

Nel presente contributo vengono sinteticamente presentate e discusse una parte delle informazioni raccolte attraverso l’indagine[1]. In particolare, nel paragrafo 1 viene tracciato il profilo socioanagrafico di questa particolare componente dell’universo professionale e descritte le attività nelle quali è impegnata presso gli enti di Terzo settore; nel paragrafo 2 viene proposta una analisi su alcuni aspetti che contraddistinguono l’esercizio della professione nel Terzo Settore e che attengono ai margini di autonomia tecnica concessi nello svolgimento del lavoro, al grado di soddisfazione per l’esperienza lavorativa, alla precarietà occupazionale e ciò che questa comporta sul modo di operare, alle ricadute che peculiari forme di accordo tra enti del Terzo settore e soggetti pubblici possono avere su coloro i quali di tale accordo sono oggetto; nel paragrafo 3, infine, partendo dall’odierno quadro della situazione vengono delineati i possibili scenari della futura presenza degli assistenti sociali nel Terzo settore.

1. Il profilo degli assistenti sociali nel Terzo Settore e le attività che svolgono

La platea degli assistenti sociali occupati nel Terzo Settore presenta un’elevata componente femminile (quasi il 93%) e si caratterizza per una larga presenza di professionisti giovani (il 28% ha meno di 30 anni, 2 su 3 ne hanno meno di 40). Dal punto di vista della collocazione lavorativa, coloro che esercitano la professione nel Terzo settore lo fanno prevalentemente presso cooperative/imprese sociali (76,1%) e in misura ridotta presso organizzazioni di volontariato (3,5%) e associazioni di promozione sociale (5,3%). Il 17,6% di loro è inserito in enti con meno di 10 dipendenti e il 60,1% in realtà di medie dimensioni, mentre la quota restante lavora presso organizzazioni con oltre 200 dipendenti. Il 23,5% è occupato in organizzazioni nelle quali risulta presente 1 solo professionista e un ulteriore 27,5% in realtà che utilizzano meno di 5 professionisti. La probabilità che un assistente sociale si trovi ad esercitare in solitario all’interno dell’ente di appartenenza è elevata nel volontariato e nell’associazionismo, mentre nelle cooperative sociali 1 su 3 è inserito in enti nei quali sono occupati più di 10 professionisti.

 

Le principali caratteristiche degli assistenti sociali occupati nel Terzo Settore

Genere

 

maschio

7,3

femmina

92,7

 

 

Età

 

fino a 29 anni

28,0

da 30 a 39 anni

37,2

da 40 a 49 anni

20,5

oltre 50 anni

14,2

 

 

ETS datore di lavoro

 

cooperativa/impresa sociale

76,1

organizzazioni di volontariato

3,5

associazioni di promozione sociale

5,3

altro

15,1

 

 

Numero complessivo degli addetti dell’ETS di appartenenza

 

fino a 10 addetti

17,6

da 11 a 50 addetti

31,8

da 51 a 200 addetti

28,3

oltre 200 addetti

22,3

 

Numero complessivo di assistenti sociali occupati nell’ETS

 

1 soltanto

23,5

meno di 5

27,5

tra 5 e 10

19,4

oltre 10

29,6

 

Riguardo alle tipologie dei rapporti di lavoro, la maggioranza degli assistenti sociali che operano nel Terzo Settore dispone di un contratto a tempo indeterminato (70,6%). Una quota modesta di professionisti, invece, lavora sulla base di un contratto di collaborazione (4,2%) oppure nella veste di lavoratore autonomo (4,5%). Di un inquadramento contrattuale stabile usufruisce la larga maggioranza di coloro che sono inseriti in cooperative o imprese sociali (71,0%) e nelle fondazioni (86,5%); diversa, invece, appare la situazione degli assistenti sociali che lavorano per organizzazioni di volontariato o associazioni di promozione sociale, dove il tempo indeterminato è meno presente e il contratto di collaborazione o la prestazione a fattura sono modalità di inquadramento che riguardano circa il 30% dei professionisti. La incidenza del contratto a tempo indeterminato si accresce con l’anzianità di servizio presso lo stesso ente (28,6% per chi è inserito da meno di 1 anno, 68,3% per chi da 1-3 anni, 88,2% per chi da 3-10 anni e 91,5% per chi da più di 10 anni) mentre il lavoro a partita IVA risulta presente in modo abbastanza uniforme nelle diverse fasi di carriera. Poco più della metà degli assistenti sociali occupati nel Terzo settore lavora per oltre 30 ore settimanali (53,1%) e quasi di 1 su 3 ha un contratto che prevede un impegno tra le 18 e le 30 ore (30,5%). Coloro che lavorano meno di 18 ore settimanali hanno perlopiù un inquadramento di natura parasubordinata.

L’inquadramento contrattuale degli assistenti sociali occupati nel Terzo Settore

Tipologia del rapporto di lavoro

Ente datore di lavoro

 

cooperativa o impresa sociale

organizzazione di volontariato

associazione di promozione sociale

fondazione

a tempo indeterminato

70,6

71,0

55,7

55,8

86,5

a tempo determinato

19,4

22,1

9,4

11,7

5,8

parasubordinato

4,2

3,0

15,1

13,5

1,9

somministrazione lavoro

1,3

1,0

5,7

3,7

0

partita IVA

4,5

2,8

14,2

15,3

5,8

 

Smentendo una narrazione che talvolta viene proposta, i dati raccolti mostrano che la condizione degli assistenti sociali che lavorano nel Terzo Settore non è segnata in modo frequente da cambiamenti dell’ente di appartenenza. Il 42,3% di loro, infatti, nel corso della carriera ha lavorato per una sola organizzazione, mentre appena il 13,3% ha alle spalle una esperienza professionale maturata in almeno quattro diversi enti. In particolare, una condizione di bassa mobilità si registra soprattutto tra i professionisti inseriti nel volontariato (il 52,8% di loro ha lavorato per un solo ente) e nelle associazioni di promozione sociale (46,6%); un percorso segnato in misura maggiore da ripetuti cambiamenti caratterizza invece la vicenda professionale di chi è occupato nella cooperazione sociale e soprattutto di coloro i quali operano come lavoratori autonomi.

Dal punto di vista del tipo di attività in cui sono impegnati, gli assistenti sociali del Terzo Settore sembrano svolgere la professione con qualche tratto di diversità rispetto a ciò che avviene in altri contesti. Se, come è tipico del lavoro sociale, il lavoro diretto con le persone utenti dei servizi rappresenta il loro impegno principale (l’87,0% lo svolge “spesso”), appare infatti peculiare della collocazione nel Terzo settore l’essere chiamati in modo frequente ad effettuare attività di coordinamento e gestione del personale (accade ad 1 assistente sociale su 3), ciò che accade in ragione del fatto che le tipologie dei servizi pubblici che sono oggetto di esternalizzazione prevedono l’impiego di numerose e variegate figure professionali (educatori, animatori, assistenti di base, assistenti all’autonomia). Gli ambiti di intervento in cui gli assistenti sociali del Terzo settore operano sono principalmente quelli relativi a minori e famiglie (in cui è impegnato il 17,0% di loro), persone con disabilità (15,3%) e anziani non autosufficienti (16,9%). Una quota tutt’altro che irrilevanti di professionisti, comunque, è impegnata nelle aree della immigrazione (9,1%) e del contrasto alla povertà (7,8%).

2. L’esercizio della professione nel Terzo Settore

Per lungo tempo in Italia gli assistenti sociali hanno svolto il proprio lavoro quasi esclusivamente all’interno di organizzazioni di natura pubblica e tale ha rivestito un rilievo decisivo nel definire il modo di esercitare la professione. La consistente crescita della loro presenza nel Terzo Settore e il fatto che questo contesto si caratterizzi per mission, assetti e logiche di funzionamento differenti da quelli del pubblico induce dunque a domandarsi se ciò abbia potuto comportare l’emergere di una diversa maniera di interpretare il lavoro sociale.

In linea con quanto rilevato da alcuni studi che si sono occupati della questione (Fazzi, 2012 e 2013), l’indagine ha evidenziato che gli assistenti sociali occupati nel Terzo settore sono certi di fare riferimento ai medesimi principi etico-deontologici e quadri metodologici che guidano il lavoro dei colleghi inseriti in enti pubblici. Ciò nondimeno, una metà degli intervistati ritiene che l’esercizio della professione si realizzi nel Terzo Settore con modalità diverse da quel che avviene in altri contesti (47,1%) – persuasione che emerge soprattutto nella componente con una maggiore anzianità di servizio – mentre l’altra metà si dice convinta che una differenza poteva magari rilevarsi in passato ma che oggi non sussiste più (21,9%) oppure che il lavoro non può che essere svolto ovunque allo stesso modo (23,0%). La convinzione che il lavoro dell’assistente sociale si proponga nel Terzo settore con elementi di peculiarità risulta più diffusa in chi opera all’interno di organizzazioni di volontariato (53,8%) e di associazioni di promozione sociale (60,1%), mentre tra i dipendenti delle cooperative sociali risulta maggioritaria l’idea che oramai non esiste più alcuna specificità.

 

Il giudizio su eventuali peculiarità dell’esercizio della professione nel Terzo Settore

Lavorare come assistente sociale nel Terzo Settore è diverso da un ente pubblico?

No, l’esercizio della professione è lo stesso in qualunque contesto la si svolga

23,0

Forse una volta, ma oggi non più

21,9

Sì, lavorare all’interno di un ente di Terzo Settore presenta delle peculiarità

47,1

Non ci ho mai riflettuto

8,0

 

Nell’opinione di coloro che hanno preso parte all’indagine, le peculiarità che contraddistinguono lo svolgimento dell’attività professionale nel Terzo Settore sono sostanzialmente correlate all’elevato grado di libertà e autonomia di cui dispone chi lavora in tale contesto e ad una pratica dell’innovazione che in esso continua a trovare spazio. Gli assistenti sociali, infatti, identificano come tratti specifici della esperienza lavorativa nel Terzo settore sia l’impegno del loro ente nel sostenere e favorire un protagonismo operativo (si esprime in tal senso circa il 53% degli intervistati) sia un suo slancio particolare nello svolgere attività destinate a persone che non riescono ad accedere ai servizi (53,8%). Questi elementi, che sono certamente tipici dell’esercizio della professione nel Terzo Settore, non sembrano tuttavia sufficienti per identificare chi vi lavora come interprete di un diverso ruolo professionale – a conferma di una opinione largamente diffusa tra studiosi ed esperti secondo cui la figura dell’assistente sociale mantiene un profilo professionale univoco quale che sia il contesto organizzativo in cui si colloca.

Un tratto che sembra essere caratteristico della esperienza lavorativa nel Terzo settore riguarda il grado di soddisfazione dei professionisti. In analogia con quanto già rilevato in precedenti studi (Borzaga e Tortia, 2006; Depedri, 2007), l’indagine ha infatti segnalato che tra gli assistenti sociali la quota di quelli che si dichiarano “abbastanza” o “molto” soddisfatti del lavoro che svolgono è assai consistente (81,5%), con livelli particolarmente elevati espressi da chi è inserito in realtà dell’associazionismo o del volontariato (risulta “abbastanza” o “molto” soddisfatto l’85,4%), ha una maggiore anzianità di servizio (85,2%) e dispone di un contratto di lavoro a tempo indeterminato (87,7%).

La soddisfazione degli assistenti sociali per il lavoro nel Terzo Settore

Complessivamente, riguardo al tuo lavoro nel Terzo Settore ti ritieni:

 

per niente soddisfatto/a

2,4

poco soddisfatto/a

16,1

abbastanza soddisfatto/a

64,3

molto soddisfatto/a

17,2

 

La elevata soddisfazione per la propria condizione lavorativa che viene manifestata dai professionisti occupati nel Terzo Settore è alimentata sia dalle opportunità che sono loro offerte dalle organizzazioni di appartenenza sia dalla qualità delle relazioni personali che in tali organizzazioni prendono corpo. Dal punto di vista delle opportunità, in particolare, ciò che rende soddisfatti è la possibilità di essere coinvolti nelle scelte politico-gestionali dell’ente e di avere al suo interno occasioni di crescita e di valorizzazione; mentre dal punto di vista delle relazioni, la soddisfazione discende principalmente dalla positiva rete di rapporti instaurati tanto con i responsabili dei servizi nei quali operano quanto – e soprattutto – con il gruppo dei pari. Costituiscono fonte di insoddisfazione, invece, alcuni aspetti dell’inquadramento contrattuale come l’orario di lavoro e – in misura consistente – la retribuzione.

Una caratteristica che viene spesso associata alla presenza degli assistenti sociali nel Terzo Settore è anche la precarietà della condizione occupazionale: alla rapida e consistente crescita del loro numero, infatti, non sembra aver corrisposto il raggiungimento su larga scala di inquadramenti contrattuali stabili (Busso e Lanunziata, 2016; Busso, 2017; Dorigatti, 2017). A tale proposito, in effetti, i dati raccolti confermano che attualmente 1 professionista su 4 si trova a sperimentare lo status di lavoratore a termine (a tempo determinato, in somministrazione, parasubordinato, a partita IVA) evidenziando che ciò riguarda in particolare coloro i quali si trovano nella fase di avvio della carriera (dispone di un contratto a termine il 59,9% di chi ha iniziato da meno di 1 anno). Contrariamente a quanto spesso viene sostenuto, però, la diffusione di forme di inquadramento contrattuale di natura temporanea non risulta direttamente correlata alla gestione da parte del Terzo Settore di servizi pubblici esternalizzati: il ricorso a rapporti di lavoro a termine, infatti, appare più esteso nell’ambito delle attività che il Terzo settore realizza in autonomia (28,1%) che non in quelle che gli sono affidate dalla Pubblica Amministrazione (24,4%).

Com’è ovvio, la precarietà della posizione occupazionale comporta per gli assistenti sociali del Terzo settore una condizione di incertezza sul futuro che limita fortemente la possibilità di elaborare un progetto di vita (l’89,6% indica nella precarietà l’elemento che impedisce di progettare un futuro in autonomia). Oltre a ciò, tuttavia, lo status di precario determina importanti ricadute anche nel tipo di attività a cui i lavoratori vengono destinati e negli spazi di crescita professionale che sono a loro riservati. Coloro i quali dispongono di un contratto a termine, infatti, sono impiegati al pari degli altri nel lavoro a contatto diretto con le persone che beneficiano dei servizi, ma risultano coinvolti in misura inferiore sia nelle attività di progettazione sia in quelle di valutazione dei servizi – con la sola significativa eccezione di una quota di professionisti a partita IVA con una elevata esperienza, il cui lavoro si concentra invece proprio su questo tipo di attività – e fruiscono in misura minore delle opportunità di formazione e di supervisione.

Le attività degli assistenti sociali del Terzo Settore in relazione all’inquadramento contrattuale

 

contratto TI

contratto TD

contratto di

collaborazione

partita IVA

Lavoro diretto con le persone utenti dei servizi

87,9

85,2

86,0

83,9

Progettazione dei servizi

23,1

18,4

20,2

32,8

Monitoraggio/valutazione dei servizi

43,6

38,0

26,4

52,6

Formazione in orario di lavoro

20,2

15,3

12,4

22,6

Supervisione in orario di lavoro

21,6

15,3

20,1

21,9

 

Come già evidenziato, l’affermarsi del Terzo Settore nella veste di principale produttore di servizi sociali ha preso corpo con il sempre più esteso coinvolgimento dei suoi enti nella gestione delle prestazioni a titolarità pubblica. Ciò ha determinato il progressivo aumento della quota degli assistenti sociali del Terzo settore impegnati nell’ambito di attività esternalizzate, quota che rappresenta oggi oltre l’86% del totale. In questa nutrita platea di professionisti, però, un numero non esiguo (più di 1 su 3) si trova in una posizione assai particolare: risultano dipendenti delle organizzazioni di Terzo settore ma di fatto vengono messi a disposizione del soggetto affidante – una condizione che configura la fattispecie della acquisizione di prestazioni di manodopera espressamente vietata dal codice degli appalti pubblici e, nel campo dei servizi sociali, dall’art. 5 del DPCM 30 marzo 2001.

In conseguenza dei vincoli che per diversi anni hanno limitato le assunzioni di personale da parte degli enti pubblici, infatti, nella pratica delle esternalizzazioni è andata emergendo la tendenza ad aggiungere alle tradizionali forme con cui si realizza l’affidamento di servizi al Terzo Settore anche un’ulteriore modalità di accordo basata sulla messa a disposizione di personale da impiegare in attività che i soggetti pubblici continuano a gestire direttamente. In questo modo, si determina la singolare situazione per cui vi sono professionisti che formalmente risultano dipendenti degli enti di Terzo Settore affidatari ma sono in realtà funzionalmente inseriti nella struttura organizzativa del soggetto affidante (Ciucci, 2016).

Gli assistenti sociali del Terzo Settore nei servizi prodotti in autonomia e nei servizi gestiti in affidamento

Assistenti sociali che lavorano in servizi che l’ente di appartenenza produce in autonomia

13,8

 

 

Assistenti sociali che lavorano in servizi esternalizzati dalla Pubblica Amministrazione

86,2

Il lavoro è organizzato dai responsabili della organizzazione di Terzo settore di appartenenza

55,0

L’assistente sociale è operativamente distaccato presso l’ente pubblico, i cui responsabili ne organizzano il lavoro

31,2

 

Oltre ad essere piuttosto controversa dal punto di vista giuridico, una situazione del genere presenta implicazioni di non poco conto per gli assistenti sociali che vi sono coinvolti, in quanto la doppia appartenenza che sono costretti a scontare può ripercuotersi in maniera anche significativa sul loro modo di operare e sulla loro autopercezione professionale. Essi, infatti, si trovano a svolgere il proprio lavoro in una terra di mezzo nella quale il legame con l’ente di Terzo settore da cui dipendono è sostanzialmente assente, mentre la natura del rapporto che hanno con la organizzazione pubblica nella quale sono inseriti li colloca in quel contesto in condizioni di marginalità. I professionisti che vivono esperienze di questo tipo, dunque, rischiano seriamente di:

  1. sentire messo in discussione il proprio profilo identitario, dato che la doppia appartenenza rende più difficile elaborare una chiara definizione del mandato istituzionale;
  2. vedere intaccata la propria autonomia professionale, soprattutto quando emerge la condizione di estraneità e quindi di minorità rispetto al contesto organizzativo nel quale operano;
  3. percepire come compromessa la qualità della relazione con le persone seguite, dato che la loro posizione essenzialmente ibrida può incidere sulla autorevolezza dell’azione e sul riconoscimento del ruolo;
  4. vivere in modo impoverito le relazioni personali e professionali con i colleghi di entrambi gli enti coinvolti nell’operazione.

Il complesso dei nodi critici che caratterizzano la condizione del professionista ibrido genera preoccupazione ancor più perché coloro che la subiscono spesso hanno una esperienza limitata. Più di 1 su 3 ha infatti un’età inferiore a 30 anni e in quasi la metà dei casi la sua carriera ha una durata inferiore ai tre anni. La sua identità professionale può dunque risultare ancora non pienamente consolidata e non in grado di sostenere le problematicità che la doppia appartenenza propone. Proprio sul fronte della costruzione e della manutenzione dell’identità professionale, peraltro, gli assistenti sociali che sono oggetto di questa pratica si trovano a scontare una serie di tangibili penalizzazioni: usufruiscono in misura ridotta delle occasioni di formazione e di supervisione professionale realizzate dal datore di lavoro, hanno opportunità di crescita e di carriera nell’ente di appartenenza significativamente inferiori rispetto ai colleghi, sono maggiormente sottoposti a richieste inappropriate che riguardano i compiti da eseguire e il monte ore da svolgere.

3. La presenza degli assistenti sociali nel Terzo Settore, tra presente e futuro

Gli assistenti sociali del Terzo Settore sono una componente dell’universo professionale il cui rilievo appare oggi importante dal punto di vista numerico e cruciale per il funzionamento dei sistemi locali di welfare. Le indicazioni emerse dalla ricerca, tuttavia, consegnano una fotografia della loro condizione segnata da luci e ombre. Per un verso, infatti, il Terzo Settore – anche in ragione di alcuni dei suoi tratti peculiari – sembra rappresentare un contesto nel quale l’esercizio della professione sembra poter avvenire in condizioni favorevoli; e questo deriva principalmente dal fatto che: a) la spinta motivazionale che anima una parte considerevole degli assistenti sociali trova corrispondenza nei principi che ispirano il Terzo settore attivo nel sociale e b) negli enti di Terzo Settore i professionisti operano con ampia autonomia tecnica e con elevata soddisfazione, grazie ad un clima organizzativo positivo. Per altro verso, però, vi sono anche aspetti che si propongono di diverso orientamento: dal punto di vista della condizione occupazionale, per esempio, i professionisti che sono collocati nel Terzo settore si misurano con le criticità rappresentate da un inadeguato riconoscimento economico, da una ancora diffusa precarietà occupazionale e dalle pesanti implicazioni che si trova a scontare quella parte di loro che è coinvolta in forme mascherate di subfornitura di personale che talvolta si annidano nei rapporti tra enti di Terzo Settore e Pubblica Amministrazione – una condizione particolarmente delicata e in grado di impattare sui tratti del profilo identitario dei professionisti e sulla loro autorevolezza nei confronti delle figure tecniche con cui interagiscono e delle persone verso cui rivolgono le proprie attività.

Se è indubbio che oggi, aldilà di tutto, gli assistenti sociali del Terzo Settore rappresentino un pilastro essenziale per il funzionamento dei sistemi locali di welfare, l’orientamento che le politiche socioassistenziali hanno assunto nell’ultimo periodo sembrerebbe suggerire che nel prossimo futuro la loro presenza potrebbe non rivestire più un rilievo così importante come quello odierno. Da qualche tempo, infatti, sono tangibili i segni di un rilancio dell’intervento pubblico nel sociale, collegato in primo luogo alla definizione di un livello essenziale che prevede la presenza negli enti locali di un assistente sociale ogni 5.000 abitanti (con l’obiettivo di arrivare ad uno ogni 4.000) ma a cui si aggiunge anche un rinnovato presidio degli interventi socioassistenziali nell’area della sanità e della giustizia. In prospettiva, dunque, questo rilancio apre il campo a due interrogativi sul futuro dei professionisti nel Terzo settore: a) il rinfoltimento delle fila degli assistenti sociali nel pubblico potrebbe determinare la fine della esternalizzazione dei servizi e, di conseguenza, una riduzione del numero dei professionisti occupati nel Terzo Settore? b) una concreta opportunità di occupazione negli enti pubblici potrebbe comportare il transito verso di essi di una parte di coloro che oggi lavorano nel Terzo Settore?

Riguardo alla prima questione, in realtà gli scenari del prossimo futuro non sembrano mettere in discussione il ruolo del Terzo Settore come produttore su larga scala di servizi sociali a titolarità pubblica. Il costante aumento della domanda di prestazioni socioassistenziali è un fenomeno inarrestabile, correlato alle esigenze poste da una quota sempre più elevata di popolazione fragile (composta soprattutto ma non soltanto da anziani) e da un’area sempre più estesa di persone con bisogni sociali di elevata complessità (soggetti multiproblematici, minori con disagi psicosociali, grave marginalità sociale, eccetera). Tale domanda richiede e continuerà a richiedere un irrobustimento della rete delle prestazioni pubbliche e l’impianto oramai consolidato delle partnership tra Pubblica Amministrazione e Terzo Settore rende difficile immaginare processi di riduzione degli affidamenti esterni. Nella sostanza, dunque, gli anni a venire non sembrano proporre alla comunità professionale uno scenario di crisi del mercato del lavoro all’interno del Terzo Settore.

Riguardo alla seconda questione, invece, il transito di una parte dei professionisti che lavorano nel Terzo Settore verso il pubblico è in realtà un processo già in atto. La stabilità occupazionale e la migliore retribuzione che un passaggio del genere è in grado di assicurare, infatti, costituiscono elementi di forte attrattività per chi lavora nel Terzo settore. Il rischio che a tale processo si associ un drastico depauperamento della platea degli assistenti sociali del Terzo Settore, tuttavia, sembra essere scongiurato da almeno due fattori: a) l’impulso della direzione della co-programmazione e della co-progettazione fornito dal Codice del Terzo Settore; b) l’incessante emergere di nuovi bisogni e fragilità sociali, che richiedono capacità di innovazione e prefigurano una crescita non soltanto del sistema pubblico ma anche delle prestazioni out of pocket che famiglie e persone andranno ad acquistare sul mercato. Inoltre, sebbene non si possa escludere che il nuovo orientamento delle politiche pubbliche in ambito socioassistenziale determini una rarefazione della componente dei professionisti del Terzo settore che dispone di maggiore esperienza, tale prospettiva non è detto costituisca necessariamente un elemento di criticità. Negli scenari appena descritti – con le sfide di intercettare i nuovi bisogni emergenti e di rilanciarsi sul terreno della innovazione e della collaborazione con la Pubblica Amministrazione – potrebbe in realtà risultare vincente la presenza di una comunità professionale più giovane, dinamica, meno ancorata a forme tradizionali di partnership e formata alla odierna complessità del sociale. Il rinnovamento nelle fila dei suoi assistenti sociali, in sostanza, potrebbe essere per il Terzo Settore una opportunità in grado di posizionarlo nel giusto modo rispetto alle sfide che si trova e si troverà ad affrontare.

In conclusione, la comunità professionale sembra pertanto poter guardare con fiducia alla propria futura presenza nel Terzo Settore. La sua consistenza quantitativa pare infatti destinata a rimanere ampia e semmai ad estendersi, il suo ruolo nel sistema di welfare doversi confermare centrale e la sua possibilità di lavorare al miglioramento delle condizioni di vita delle persone poter trovare nuovi spazi di valorizzazione. D’altra parte, però, una prospettiva del genere richiede che gli assistenti sociali del Terzo Settore dispongano di una strumentazione valoriale e tecnica in linea con le esigenze poste dai cambiamenti in atto e che si confermino in grado di esercitare la professione non solo in modo competente ma anche dando corpo a quel protagonismo operativo e a quella innovatività che in certa misura rappresentano un tratto specifico del Terzo settore italiano produttore di servizi sociali.

 

Bibliografia

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[1] Per la descrizione dell’impianto metodologico della ricerca e una più competa analisi dei dati raccolti si rinvia al volume open access Burgalassi M. e Tilli C., La professione di assistente sociale nel Terzo Settore: una ricerca nazionale, FrancoAngeli, 2023 (https://series.francoangeli.it/index.php/oa/catalog/book/1061)

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