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ISSN 2282-1694
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Numero 2 / 2024

Ricerca

Le cooperative alla prova del ricambio generazionale. Una ricerca di Confcooperative Federsolidarietà Veneto

Riccardo Frigo


Il presente lavoro è frutto di un’attività di ricerca promossa da Confcooperative Federsolidarietà Veneto nel 2022 nell’ambito di un gruppo di lavoro tematico sul “ricambio generazionale”. La ricerca è stata realizzata con metodologie utili ad assicurare il coinvolgimento diretto dei lavoratori con età, professionalità, ruoli e storie differenti. Di seguito sono riassunti alcuni esiti dell’attività di ricerca.


 

Tra le molte sfide che il mondo della cooperazione sociale sta affrontando in questo delicato periodo storico, c’è quella del ricambio generazionale: come tanti altri settori, sembra che anche la cooperazione sia schiacciata tra le difficoltà ad accogliere nuove risorse umane trattenendo al contempo quelle che già ci sono e la progressiva fuoriuscita dal mondo del lavoro dei fondatori, figure cardine, che si trovano a dover passare il testimone in un contesto pieno di incertezze.

In tale situazione, emerge una questione specifica, che sarà al centro delle argomentazioni proposte, relativa al possibile sfasamento tra i principi fondanti alla base del modello organizzativo della cooperazione sociale e sistema valoriale delle giovani generazioni; il mondo della cooperazione adotta un modello organizzativo peculiare in cui la partecipazione e l’orizzontalità sono le componenti fondamentali. Ma è questo che i nuovi potenziali cooperatori cercano? Sono queste le armi comunicative che la cooperazione sociale deve usare?

Il tema è quanto mai rilevante, se si considera che, secondo dati di ricerca di seguito meglio sviluppati, solo il 34,68% dei cooperatori under trenta intervistati intende rimanere il più a lungo possibile nella cooperativa in cui lavora.

Il tema della motivazione lavorativa in cooperazione sociale e in particolare per i giovani cooperatori sarà affrontato riflettendo in primo luogo sui temi della partecipazione e della professionalità; quindi, si rifletterà sul senso che i cooperatori cercano, e in qualche caso faticano a trovare, nel loro lavoro; poi su temi cardine come la conciliazione vita-lavoro e la retribuzione. In conclusione, una volta evidenziate apparenti ambivalenze che si riscontrano negli esiti della ricerca, si ipotizzeranno filoni di intervento per garantire uno scambio intergenerazionale positivo.

La ricerca e gli aspetti metodologici

Proprio per analizzare i temi qui proposti, nel 2023 è stata realizzata una ricerca all’interno di Confcooperative Federsolidarietà Veneto, alcuni dei cui esiti sono di seguito riassunti.

Si è scelto di combinare metodologie quantitative e qualitative, nella convinzione che «basarsi su metodi puramente quantitativi potrebbe portare a trascurare la costruzione sociale e culturale delle variabili che la ricerca quantitativa cerca di correlare»[1].

Si è pertanto proposto un questionario ai 34.451 lavoratori e soci appartenenti alle 408 cooperative sociali aderenti[2], cui hanno risposto 2.373 persone; a ciò è seguito un approfondimento di carattere qualitativo. Rispetto al questionario, si sono assunte come quadro teorico di riferimento in particolare le teorie della motivazione di Herzberg[3] e di Vroom[4], con l’obiettivo di mettere in luce aspetti legati sia alle aspettative dei cooperatori verso il mondo del lavoro in generale, sia alla soddisfazione di queste aspettative nei contesti di lavoro in cui si è attualmente impiegati. Il questionario è stato inviato attraverso una comunicazione ufficiale dalla Federazione regionale a tutte le cooperative sociali iscritte, a loro volta invitate a diffondere a tutti i loro soci e lavoratori il link della rilevazione. L’indagine si è svolta dal 24 gennaio 2023 al 22 febbraio 2023.

Tra i rispondenti, il 75,8% è di genere femminile, il 20,4% di genere maschile e il 3,8% ha preferito non indicare il genere. Per quanto riguarda la distribuzione nelle classi d'età dei rispondenti, il 16,7% è sotto i 30 anni, il 26,8% tra i 31 e i 40 anni, il 29,2% tra i 41 e i 50 anni e il 27,3% è sopra i 50 anni. L’anzianità lavorativa in cooperativa dei rispondenti è per il 45% inferiore ai 5 anni, per il 22,9% tra i 5 e i 10 anni, per il 20,6% tra i 10 e 20 anni e per il restante 11,5% oltre i 20 anni.

Una volta raccolti, i dati dei questionari sono stati analizzati e discussi, in ottica di ulteriore approfondimento qualitativo, all’interno del workshop “Visioni, nuove sfide condivise. La cooperazione è per i giovani?”, organizzato da Irecoop Veneto in collaborazione con Confcooperative Federsolidarietà Veneto. In tale sede sono stati presentati i risultati dell'indagine e sono stati raccolte le opinioni dei “Nativi Cooperativi”[5], cioè coloro che sono entrati a far parte del mondo della cooperazione trovandolo già costruito e dandone per scontati molti aspetti. Riportiamo anche qualche suggestione da questo contesto.

Nuovi cooperatori, tra partecipazione e professionalità

Le ipotesi formulate all’avvio della ricerca hanno cercato di intercettare le convinzioni, che spesso permeano i livelli direzionali delle cooperative, verosimilmente coerenti con i valori e i principi fondativi delle cooperative stesse, rispetto alle leve motivazionali per attirare e trattenere nuovi cooperatori. L’opinione spesso diffusa negli attuali gruppi dirigenti è che elementi come la partecipazione alle decisioni, il clima e i rapporti coi colleghi, l’utilità del proprio lavoro per la comunità e lo sviluppo professionale siano i motivi per cui si sceglie il mondo della cooperazione, mettendo in secondo piano, almeno inizialmente, la dimensione retributiva.

Le diverse dimensioni oggetto di analisi sono state indagate sia in termini di importanza soggettiva, sia in termini di soddisfazione nel contesto di lavoro attuale. Un ulteriore aspetto di indagine è stato quello relativo ai motivi che hanno portato alla scelta di entrare in cooperativa, che rappresentano in qualche modo l’opinione e le aspettative che ci sono dall’esterno, e quello relativo ai motivi che spingono a rimanerci, indagando la coincidenza tra le aspettative che hanno portato a lavorare in cooperativa e la loro realizzazione.

Tanto le valutazioni relative all’importanza di un determinato elemento, quanto quelle relative alla valutazione sono state espresse con valori da 1 a 5.

Le ipotesi che sono state fatte al momento della costruzione dell’impianto di ricerca sono state in parte confermate, ma al tempo stesso sono emersi degli interessanti ulteriori spunti di riflessione.

La cooperativa come luogo di partecipazione

Il primo item esaminato riguarda la partecipazione: quanto, cioè, chi lavora in cooperativa sociale ritenga importante trovarsi in un contesto che promuove la possibilità del lavoratore di prendere parte alle decisioni. Su questo aspetto emergono dalla ricerca valori più bassi di quanto ipotizzato dal gruppo di ricerca: l’importanza della partecipazione riceve un punteggio medio di 3,49 su una scala da 1 a 5 la soddisfazione per la partecipazione di 3,08, valori vicini quindi ad un’espressione di neutralità. Ci si aspettavano valori medi superiori, essendo la partecipazione uno dei caratteri fondanti il movimento cooperativo. La dimensione di partecipazione rimanda inoltre al vivere la cooperativa come comunità, non quindi come mera condivisione di tempo e spazio fisico, ma anche di obiettivi, interessi e possibilità di espressione di sé.

La non centralità di questa dimensione è confermata inoltre dalle preferenze medio basse di questo fattore sia tra i motivi della scelta di lavorare in cooperativa (solo il 19,7% dei rispondenti la indica), sia di permanervi (16,9%). Si evidenziano inoltre significative differenze per classi d’età, ma soprattutto per anzianità lavorativa: valori più elevati di preferenza per l’aspetto partecipativo si hanno in chi lavora in cooperativa da più di vent’anni, i senior o i fondatori.

 

classi di età

anzianità lavorativa

PARTECIPAZIONE

<30

31-40

41-50

>51

<5 anni

5-10 anni

10-20 anni

>20

scelta

14,18%

15,23%

22,08%

25,00%

14,79%

15,26%

24,13%

40,07%

permanenza

13,92%

13,66%

16,45%

22,22%

13,20%

13,42%

19,63%

33,09%

 

Per approfondire la tematica è utile esaminare congiuntamente altre due dimensioni collegate alla partecipazione e cioè la rappresentanza, intesa come volontà e/o possibilità di avere ruoli all’interno dei Consigli di amministrazione delle cooperative in cui si lavora e la responsabilità, intesa come volontà e/o disponibilità ad assumere ruoli direttivi nell’organizzazione.

 

partecipazione

rappresentanza

responsabilità

età

importanza

soddisfazione

importanza

soddisfazione

importanza

soddisfazione

<30

3,35

2,99

3,16

3,05

3,86

3,56

31-40

3,44

3,02

3,35

3,14

3,91

3,54

41-50

3,56

3,13

3,54

3,21

3,97

3,58

>51

3,56

3,14

3,52

3,20

3,98

3,62

 

 

partecipazione

rappresentanza

responsabilità

anzianità

importanza

soddisfazione

importanza

soddisfazione

importanza

soddisfazione

<5 anni

3,40

3,02

3,34

3,13

3,92

3,59

5-10anni

3,42

2,96

3,33

3,04

3,88

3,47

10-20 anni

3,62

3,12

3,53

3,20

3,96

3,54

>20

3,82

3,47

3,68

3,47

4,08

3,80

 

Per la dimensione di rappresentanza, e quindi la disponibilità o volontà di entrare a far parte del Consiglio di amministrazione della cooperativa, troviamo valori medi in linea con quelli della partecipazione: complessivamente 3,41 di importanza e 3,16 di soddisfazione. Per entrambe le dimensioni i valori mediamente più bassi si hanno nelle fasce d’età inferiori e per l’anzianità lavorativa minore. L’idea di rappresentare la cooperativa, come è comprensibile che sia, cresce con l’esperienza.

Per quanto riguarda la dimensione della disponibilità e interesse ad assumere ruoli di responsabilità, complessivamente si hanno valori medi di 3,93 per l’importanza e 3,57 per la soddisfazione, dunque leggermente più alti rispetto alle due dimensioni precedenti.

Questo fa emergere un orientamento ad assumersi responsabilità a partire dalla propria competenza e la propria professionalità, ancor più che partecipando agli organi decisionali.

Il lavoro in cooperativa come professione

Il principale motivo per cui si sceglie di lavorare in una cooperativa sociale sembra essere legato all’interesse professionale e coerenza del lavoro svolto con la propria formazione: il 47,9% del campione lo indica come l’elemento che lo ha spinto a lavorare in cooperativa. Il rilievo attribuito a questa dimensione è frutto di percorsi formativi in ambito sociale sempre più specializzati e professionalizzanti che trovano poi nelle cooperative una opportunità, per alcune professioni l’unica, per fare il lavoro per cui ci si è formati[6].

 

 

classi di età

anzianità lavorativa

INTERESSE PROFESSIONALE

<30

31-40

41-50

>51

<5 anni

5-10 anni

10-20 anni

>20

scelta

65,57%

57,61%

43,15%

32,72%

51,50%

43,57%

46,63%

39,71%

permanenza

57,47%

47,41%

40,98%

28,86%

45,51%

40,26%

38,24%

33,82%

 

Percentuali elevate di rispondenti indicano l'interesse professionale come motivo per scegliere prima, e rimanere poi, la cooperativa, soprattutto per la fascia d’età sotto i 40 anni, dove verosimilmente si trova un più altro livello formativo e conseguente ricerca nel mondo del lavoro di un ambiente che consenta il raggiungimento degli obiettivi professionali. Proprio questa dimensione va infatti analizzata congiuntamente all’interesse professionale, poiché se non si trovassero luoghi in cui raggiungere gli obiettivi professionali sui quali si è investito, questo potrebbe vanificare gli sforzi fatti negli anni della formazione.

 

 

raggiungimento obiettivi

sviluppo professionale

età

importanza

soddisfazione

importanza

soddisfazione

<30

4,22

3,48

3,84

2,99

31-40

4,18

3,42

3,65

2,97

41-50

4,26

3,47

3,45

2,96

>51

4,17

3,48

3,23

2,81

 

 

raggiungimento obiettivi

sviluppo professionale

anzianità

importanza

soddisfazione

importanza

soddisfazione

<5 anni

4,19

3,49

3,61

2,94

5-10anni

4,18

3,35

3,51

2,86

10-20 anni

4,21

3,44

3,42

2,88

>20

4,31

3,64

3,26

3,11

 

Il raggiungimento degli obiettivi professionali è tra le leve motivazionali con il valore medio più alto (4,21 per importanza) e con un’uniformità di risposta in tutte le classi di età e di anzianità lavorativa. La soddisfazione media di questo fattore però è solo 3,46. A questo possiamo abbinare l’analisi della dimensione motivazionale dello sviluppo professionale. Questa presenta valori di importanza vicini al 4, soprattutto per i giovani under trenta (3,84), ma valori di soddisfazione al di sotto della soglia del valore 3 (mediamente 2,92) per tutte le classi d’età e di anzianità lavorativa ad eccezione di chi è in cooperativa da più di vent’anni che verosimilmente uno sviluppo professionale potrebbe averlo avuto all’interno della propria organizzazione, gruppo per il quale però la soddisfazione presenta un valore comunque basso (3,11). Ce ne parla un cooperatore under trenta, in cooperativa da poco: “Voglio fare quello che so fare bene, quello per cui ho studiato e mi sono preparato per fare e, attraverso questo, fare la differenza.”

Se è vero quindi che la formazione e l’interesse professionale hanno un ruolo chiave per la scelta del settore lavorativo, è proprio da qui che ci si deve muovere a nostro avviso per dare ai nuovi cooperatori e ai futuri potenziali cooperatori il senso dell’essere cooperativa sociale: la propria professionalità messa al servizio del bene comune e della comunità.

Riportiamo a questo punto una riflessione: “La cooperativa dovrebbe essere strumento per cambiare le cose, ma per chi ci lavora ha senso? Il mercato è pieno di cooperative che non hanno senso: grandi, fondate sulla prestazione, che gestiscono e cambiano appalti molto frequentemente; e sono queste le cooperative premiate dal mercato. Quelle medio-piccole che lavorano per migliorare la comunità in cui sono inserite, invece, fanno fatica e rischiano di essere tagliate fuori”.

Il lavoro e il suo senso

La ricerca di senso dovrebbe essere ciò che guida non solo le organizzazioni, ma anche i cooperatori nella scelta di questo settore e di questo modello organizzativo; questa dimensione è indagata nella ricerca attraverso il fattore di importanza del proprio lavoro per la comunità e cioè di quella dimensione di motivazione intrinseca, di forte carattere valoriale, che storicamente si attribuisce al mondo della cooperazione.

È importante considerare che l’investimento di risorse personali, nel caso di motivazioni intrinseche legate al contenuto del lavoro - e che sono sempre state considerate fattore imprescindibile nel lavoro cooperativo, soprattutto in ambito sociale - è molto più grande rispetto a quelle estrinseche, poiché si mette in atto un comportamento per arricchire e gratificare sé stessi, non per un premio o una ricompensa[7].

L’importanza del proprio lavoro per la comunità è uno dei motivi maggiormente indicati nella ricerca per la scelta di lavorare in cooperativa (45,3% del campione) e per rimanerci (42,9% del campione). Occorre però sottolineare come questa motivazione sia molto più marcata per la fascia d’età sopra i 50 anni e in chi è in cooperativa da più di 20 anni individuando quel gruppo di rispondenti che a più riprese abbiamo definito fondatori.

 

 

classi di età

anzianità lavorativa

UTILITA’ DEL LAVORO PER LA COMUNITA’

<30

31-40

41-50

>51

<5 anni

5-10 anni

10-20 anni

>20

scelta

43,04%

41,76%

44,73%

50,77%

43,16%

43,57%

44,79%

58,09%

permanenza

38,73%

39,87%

40,69%

50,77%

41,76%

39,15%

43,56%

53,68%

 

 

 

utilità del lavoro per la comunità

età

importanza

soddisfazione

<30

4,16

3,86

31-40

4,21

3,81

41-50

4,24

3,87

>51

4,17

3,83

 

 

utilità del lavoro per la comunità

anzianità

importanza

soddisfazione

<5 anni

4,17

3,83

5-10 anni

4,18

3,80

10-20 anni

4,22

3,84

>20

4,30

3,99

 

Abbiamo la conferma che la percezione di svolgere un lavoro utile alla comunità rappresenti una forte leva motivazionale e questo conferma come il lavoro nel sociale non possa in nessun modo prescindere dai destinatari del lavoro stesso: l’utenza, i fragili, la comunità.

È il caso di una cooperatrice di età compresa tra i trenta e i quarant’anni che ci dice: “Io vivo la mia professione, quella di assistente sociale, anche su un piano politico per le possibilità che ci sono di fare la differenza e cambiare le cose. Ho scelto di lavorare in cooperativa perché, dopo alcune esperienze non proprio positive, ho trovato un contesto in cui ci può essere la consapevolezza e il riconoscimento di questa dimensione”.

E ancora, ecco come si esprime un’altra cooperatrice di meno di trent’anni anni, in cooperativa da 11 mesi: “Il lavoro che facevo prima non aveva senso. Sono capitata in cooperativa per caso, fino a un anno fa non sapevo nemmeno cosa fossero le cooperative. Faccio il lavoro che facevo prima in altri settori, gestione risorse umane, ma è proprio perché qui ho trovato un senso al lavoro che faccio che ho scelto di rimanere in cooperativa e ora sono anche coordinatrice di un settore di attività”.

Questi item sono rilevanti perché smentiscono l’ipotesi di una supposta “indifferenza valoriale” delle giovani generazioni: si sceglie di lavorare in cooperativa anche perché si realizza così un’aspirazione etico valoriale, che, a differenza dell’altro pilastro fondante della cooperazione, quello partecipativo, non appare incrinato con il passare degli anni.

La conciliazione vita-lavoro e la retribuzione

Va introdotto, sul finire della nostra riflessione, il fattore motivazionale che ha il valore di importanza più alto all’interno della ricerca citata: la conciliazione vita-lavoro (punteggio medio di 4,38). Si tratta di un fattore di contesto[8] in quanto legato all’organizzazione degli orari e dei tempi di lavoro che possano consentire di ottenere un buon bilanciamento dei tempi di vita. Questo dato è da considerare ancor più importante per il fatto che il campione dei rispondenti è composto al 75,8% da donne alle quali, culturalmente, soprattutto nel nostro territorio, è richiesta una “doppia presenza” nel mondo del lavoro e nella cura della famiglia[9]. Si tratta anche di uno dei motivi principali di permanenza nel contesto di lavoro (45,1% dei rispondenti).

Rispetto a questa dimensione è inevitabile che esistano differenze sostanziali a seconda delle diverse fasi di vita che ciascun individuo attraversa, ma un’ulteriore interpretazione potrebbe considerare anche il diverso significato che le nuove generazioni attribuiscono al lavoro. Il fare cooperativa richiede tempo, presenza, disponibilità, sacrifici e in qualche caso contributi di carattere volontario in aggiunta agli impegni lavorativi. Elementi ai quali i cooperatori storici sono stati abituati da sempre e che in molti contesti organizzativi sono richiesti anche ai più giovani. D’altra parte, le nuove generazioni in molti casi rifiutano invece l’idea del lavoro come qualcosa di totalizzante e pervasivo rispetto alla sfera di tempo e di spazio che dedicano invece a loro stessi e ai loro impegni. Difficilmente sono disposti a sacrificare questi aspetti anche in presenza di forte connotazione valoriale.

Infine, una delle ipotesi di ricerca con cui è utile confrontarsi è quella della supposta minore rilevanza del fattore della retribuzione, che registra invece un valore di importanza medio-alto di 3,90, ma soprattutto il livello di soddisfazione più basso di tutti i fattori: 2,74. Nel caso degli under trenta il valore di importanza sale a 4,04 e quindi va ad aumentare il divario con la soddisfazione.

I dati vanno tenuti attentamente in considerazione anche se solo poco più del 2% vede la retribuzione come motivo di scelta della cooperativa e di permanenza, poiché la cooperazione sociale si confronta con altri soggetti, pubblici e privati, che operano nello stesso settore e quindi possono egualmente soddisfare il fattore di interesse professionale/coerenza con la formazione, ma che hanno possibilità retributive maggiori: questa forte insoddisfazione economica potrebbe spingere alcune persone, posizionate più in basso anche in altre dimensioni motivazionali, ad abbandonare. In una recente indagine Aiccon cui hanno partecipato i lavoratori under 35 di un gruppo selezionato di cooperative sociali di tutta Italia, il fattore economico è risultato essere quello meno rilevante se confrontato con la qualità delle relazioni coi colleghi e il significato della propria attività lavorativa. Tale ricerca evidenzia però come si ritenga di aver diritto a un giusto compenso e quindi si sarebbe disposti a lasciare la cooperativa in cui si lavora se si ricevessero offerte di retribuzione più alte[10]. Il recente (gennaio 2024) rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro delle Cooperative Sociali ha tentato, con un po’ di ritardo, di intervenire su questo evidente scollamento, incidendo per una percentuale attorno al 14% di aumento delle retribuzioni in due anni.

Il difficile incontro tra sensibilità diverse

Il contesto di lavoro cooperativo viene considerato per la larga maggioranza come luogo di libera espressione dei propri valori (88,7% del campione) e di crescita umana e professionale (71,2% del campione).

Perché allora ci troviamo di fronte all’allarmante dato che ci dice che solo un terzo dei cooperatori under trenta intervistati intende rimanere il più a lungo possibile nella cooperativa in cui lavora? Pesa di più l’insoddisfazione della dimensione economica o la soddisfazione degli interessi professionali e la possibilità di conciliare vita e lavoro?

Non possiamo fermarci alla sola registrazione del dato e a prendere atto della tendenza presente in molti giovani tra i 20 e i 30 anni a cambiare lavoro molto frequentemente, ma va in ogni caso tenuto conto che da un recente sondaggio emerge come solo il 4% dei giovani pianifichi di permanere con il proprio datore di lavoro per meno di un anno; il 19% prevede di restare non più di un anno; il 43% per due anni, mentre il 22% dichiara che rimarrà per tre anni. Solo il 13% ha intenzione di rimanere per 4 anni[11].

Vale invece la pena tentare di rispondere a queste domande tratteggiando quelli che sembrano emergere come aspetti di ambivalenza per evitare che si crei una dicotomia generazionale: allo stato attuale, in molti, casi le cooperative sono rappresentate e guidate non da Nativi Cooperativi, bensì dai fondatori. Si tratta di persone dalla forte impronta valoriale, che nella nostra ricerca evidenziano per larga parte di non essere nel mondo della cooperazione per interesse professionale (percentuale di scelta dimezzata rispetto agli under 30) e per la possibilità di partecipare alle scelte (valore doppio rispetto agli under 30), oltre che per fare un lavoro utile alla comunità, tema caratteristico dei fondatori che però abbiamo visto essere condiviso anche delle generazioni più giovani. In sostanza, la differenza principale è rappresentata dall’orientamento alla partecipazione che caratterizza l’attuale dirigenza contro l’orientamento professionale, tipico delle giovani generazioni. Ci troviamo quindi di fronte al rischio di uno scollamento delle priorità e delle identità che potrebbe anche essere alla base delle resistenze[12] nei gruppi dirigenti ad aprire spazi di partecipazione reale per i giovani nella gestione delle imprese e rischio di demotivazione da parte dei giovani stessi: “I senior dovrebbero ascoltare quello che i giovani hanno da dire senza usare frasi come Quando ero giovane io…. Occorre accettare che deve esserci un modo diverso di fare le cose. I Consigli di amministrazione dovrebbero essere misti per età e per esperienza, non sarebbe immaginabile nemmeno che fossero composti di soli trentenni.”

È auspicabile, e a nostro avviso l’unica strada percorribile, che ci si sforzi per ricercare questa contaminazione e questo equilibrio intergenerazionale.

Dai dati raccolti appare chiaro che i punti d’incontro ci possano essere, ma che non siano necessariamente quelli che ci si aspetterebbe. Ad esempio, ci viene riportato come per molti under trenta l’idea stessa di partecipazione sia diversa da quella che avevano, e hanno, i fondatori: sentono di partecipare alla vita della cooperativa anche solo venendo informati rispetto a quello che si fa e alle scelte che i consiglieri prendono. Sembra che si tratti di una sorta di partecipazione passiva, ma per i più giovani, comunque, significativa e sufficiente; non sembra interessare prendere parte attivamente alle decisioni e alla governance, ma sembra che basti assistere, essere informati.

Allo stesso tempo però incontriamo giovani che chiedono di scendere in campo: “Voglio fare la differenza, la voglio fare assieme ai miei coetanei; voglio spazio per costruire, terreno sociale edificabile. Sono in cooperativa per fare politica dal basso, costruendola insieme.”

Proseguendo l’analisi dalla prospettiva dell’attuale governance cooperativa, sembra che in alcuni casi questo orientamento “professionale” delle giovani generazioni determini un processo adattivo delle organizzazioni che porta a relazionarsi con i più giovani e ad includerli in cooperativa esclusivamente come prestatori di professionalità: soggetti, anche molto preparati, a cui viene chiesto di fare il proprio lavoro e di farlo bene, come professionisti e non come cooperatori. È difficile comprendere quale sia la causa e quale l’effetto, se queste cooperative reagiscano facendo propria una propensione dei lavoratori più giovani o siano esse stesse a contribuire ad una evoluzione che tende a mettere in secondo piano la partecipazione, lo stare assieme, il contesto collettivo, a favore invece della prestazione professionale. Quello che è certo è che se in primis sono le organizzazioni a non dare sufficiente attenzione a questi aspetti e a spingere invece prevalentemente sul lato operativo, è inevitabile, come si vede dai risultati dei nostri questionari, che anche la percezione dei lavoratori ne sia indirizzata e influenzata.

La difficoltà che si riscontra nell’incrociare sensibilità e stili organizzativi si ritrova anche nelle parole di alcuni cooperatori di età compresa tra i 40 e i 50 anni, in cooperativa da tempo e che per questo si definiscono senior, che dicono: “Sto cercando di capire come lasciare spazio al prossimo, inteso come il prossimo che viene dopo di me, ma anche il mio prossimo, quello che mi sta vicino” e ancora: “Cosa possiamo fare per liberare spazio a voi giovani?”.

Conclusioni

Crediamo che nel contesto fin qui presentato siano fondamentali occasioni e momenti di confronto non soltanto all’interno di ciascuna organizzazione, ma anche tra organizzazioni diverse. L’ottica dovrebbe essere quella di accompagnamento ai fondatori in un processo prima di delega e poi di passaggio generazionale. Tra gli obiettivi, quello di assicurare che la cooperativa, che hanno contribuito a far nascere e che in tanti casi è diventata parte di sé, sia in buone mani anche se loro ricopriranno un ruolo diverso o se lasceranno spazio ad una nuova generazione di cooperatori. Allo stesso tempo i giovani potrebbero in questo modo attualizzare i valori storici della cooperazione e, dopo averli fatti propri, proporne una versione contemporanea anche attraverso la contaminazione con competenze diverse da quelle legate alle professioni di assistenza, che portino allo sviluppo manageriale e gestionale.

Per fare questo però occorre a nostro avviso lavorare in primis perché la cooperazione sociale torni a essere attrattiva per i giovani, anche attraverso azioni di promozione e comunicazione che vadano a intervenire sull’immagine che chi lavora nella cooperazione ha di sé stesso. Va pensato un intervento quindi che raggiunga e possa modificare l’identità sociale, e cioè quella parte del concetto di sé che deriva dalla consapevolezza di appartenere a un gruppo, unitamente al significato emotivo associato a tale appartenenza[13].

Fino a paio di decenni fa, per chi lavorava nel mondo della cooperazione c’era un’attribuzione di status positiva e un riconoscimento sociale per il lavoro svolto, che arrivano dall’esterno; questo da una parte faceva sì che i cooperatori ricavassero per sé stessi un’identità sociale positiva, e dall’altra motivava anche chi di questo mondo non ne sapeva nulla a informarsi e ad avvicinarsi alla cooperazione sociale. Oggi tutto questo non appare più così sicuro e questo obbliga a trovare nuove chiavi per consolidare l’appartenenza dei giovani ad un contesto cooperativo.

Chiudiamo riportando il pensiero di una cooperatrice trentenne: “I giovani stanno già facendo cambiamento e rivoluzione, anche senza fare rumore e andare in piazza. Il rischio è che, se il contesto non lo riconosce, questo cambiamento continueranno a farlo al di fuori delle cooperative e della cooperazione”. Un’ulteriore e forte conferma del dato sulle intenzioni di turnover espresse nella ricerca e riportate all’inizio di questa trattazione, che suona come un ultimatum: il cambiamento è in atto ed è inarrestabile, alla cooperazione il compito di esserne protagonista, come ha fatto per decenni, e non spettatore.

DOI:10.7425/IS.2024.02.06

 

Bibliografia

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Vroom, V., (1964), Work and Motivation. New York. Wiley and Sons.

[1] Kirk, Miller, 1986, cit. in Silverman, 2002, p.44

[2] Dati aggiornati al 24 gennaio 2023 forniti da Confcooperative Federsolidarietà Veneto

[3] Herzberg, 1959

[4] Vroom, 1964

[5] Frigo, Ravagni, Sperotto, 2023

[6] Peruzzi, 2022

[7] Baroni, D’Urso, 2004

[8] Herzberg, 1959

[9] Bimbi, Pristinger, 1986, cit. in Trevisan, 2022

[10] Venturi, Baldazzini, 2022

[11] Chapman, 2022

[12] Morniroli, 2022, p.39

[13] Tajfel, Billig, Bundy, & Flament, 1971 p.149–178.

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