14  DICEMBRE 2019
 
Il caffè sospeso della tradizione napoletana: prosocial behaviour come fondamento delle istituzioni sociali

Il caffè sospeso della tradizione napoletana: prosocial behaviour come fondamento delle istituzioni sociali

Abstract

Gli individui quotidianamente mettono in atto una serie di comportamenti che mal si conciliano con la visione self-interest e razionale dell’Homo Oeconomicus. Questo lavoro racconta di un field experiment, ovvero di un esperimento condotto nella vita reale, fuori dalle mura dal laboratorio, svolto sul comportamento dei consumatori nella città di Napoli, concernente, per la prima volta, l’antica tradizione del caffè sospeso. Dallo studio emerge che, tra i vari comportamenti dell’essere umano che contraddicono il modello di Homo Oeconomicus, quello del caffè sospeso mostra con particolare enfasi la presenza di atteggiamenti altruistici e “prosociali”. Caratteristiche e motivazioni delle persone che decidono di compiere questo gesto di generosità sono gli elementi principali che il presente studio si propone di analizzare.

Individuals usually angage in daily behaviours that are at issue with the self-interest and rational model of economic man. The paper is the first of its kind to showcase and discuss the findindings of a field experiment – that is a real life experiment carried out outside the laboratory setting – conducted on the behaviour of Neapolitan users of the long-standing tradition of suspended coffee. Our study shows that, amongst the extensive stream of evidence rejecting the model of economic man, the suspended coffee stands out as a prime example of human beings’ capacity to act pro-socially and altruistically. The study primarily focuses on analysing the main charactersitics and motivations underlying such a distinguishing act of generosity.

Gli autori ringraziano sentitamente i bar Augustus e Gambrinus per la gentile e preziosa collaborazione.

 

Introduzione

Nella vita di tutti i giorni gli individui mettono in atto una serie di comportamenti che non possono essere spiegati attraverso le categorie tradizionali dell’Homo Oeconomicus. Tuttavia si persiste nel ritenere che l’egoismo, l’avidità e l’interesse personale siano i principi fondanti dell’economia moderna. Un esempio tra tutti è ben rappresentato dagli studi di Daniel Kahneman e Amos Tversky (1973), che hanno ampiamente dimostrato come le componenti cognitive ed emotive costituiscano delle forti determinanti delle scelte economiche; ciononostante l’economia neoclassica persiste nell’adottare il modello di Homo Oeconomicus come principale strumento per comprendere la natura umana (Kahneman, 2012).

Nella città di Napoli, da quasi cento anni, si perpetua la tradizione del caffè sospeso, in base alla quale un individuo, dopo aver consumato il suo caffè al bar, talvolta decide di pagarne due; l’altro caffè – pagato ma non consumato – resta appunto “sospeso” ed offerto a chiunque entrerà dopo di lui e ne farà richiesta. L’individuo che lascia il caffè sospeso non agisce secondo regole di razionalità e massimizzazione del profitto, non avrà un tornaconto dal suo gesto perché non conosce lo/a sconosciuto/a bisognoso/a che usufruirà del caffè sospeso e in certi casi – se ad esempio si tratta di un turista – probabilmente non entrerà mai più in quel bar.

Questo atteggiamento, come molti altri comportamenti prosociali, dimostra che il comportamento umano è di tale complessità da non poter essere spiegato facendo ricorso solo a modelli razionali. Gli esseri umani agiscono anche in base alle emozioni, al contesto in cui vivono, all’altruismo e ad una serie di fattori ben lontani dalle teorie economiche basate sull’Homo Oeconomicus, che invece rappresentano il fondamento dell’esistenza e della persistenza di molte istituzioni sociali (Degli Antoni, Sabatini, 2013).

Nel presente articolo si riportano i risultati di un esperimento svolto sul comportamento dei consumatori, condotto in due antichi bar di Napoli; la scelta di lasciare o meno il caffè sospeso è stata utilizzata come indicatore (proxy) di un comportamento prosociale e/o altruistico. Lo studio, del tutto pioneristico, si propone quale indagine esplorativa sul comportamento prosociale dell’individuo. A tal fine si è cercato di individuare le caratteristiche demografiche che accomunano le persone che scelgono di acquistare un caffè sospeso.

Il primo paragrafo illustra le caratteristiche del modello dell’Homo Oeconomicus, evidenziando i limiti di natura contestuale contro cui esso si scontra quando tenta di spiegare il comportamento degli individui. A tal scopo si approfondirà il prosocial behaviour come comportamento alternativo al self-interest, teoria che fonda le sue origini negli insegnamenti dell’economia comportamentale e nelle applicazioni dell’economia cognitiva e sperimentale. Nel paragrafo successivo si descriverà la tradizione del caffè sospeso nella città di Napoli, esplicitando le motivazioni che lo rendono un argomento di interesse per la ricerca scientifica. Il terzo paragrafo descriverà il design dell’esperimento, con a seguire l’analisi descrittiva dei dati raccolti e dei primi risultati ottenuti, per poi concludere con alcune considerazioni preliminari.

 

Caratteristiche e limiti dell’Homo Oeconomicus: il prosocial behaviour come modello alternativo

L’economia neoclassica tende a formulare le proprie teorie sulla base del concetto di Homo Oeconomicus, ovvero di un soggetto razionale con preferenze stabili, che agisce esclusivamente sulla base dei propri interessi (Marshall, 1920; Pantaleoni, 1925; Pareto, 1962).

Adam Smith ne La ricchezza delle nazioni (Smith, 1759) sostiene che l’interesse personale è il motore del mondo. Ciò, tuttavia, pone la questione del perché gli esseri umani mettano in atto comportamenti collaborativi e talvolta addirittura altruistici. Come noto, secondo la teoria economica neoclassica, alla base di questi comportamenti persiste l’egoismo e la persecuzione dell’interesse personale. Gli essere umani sono ben consapevoli che spesso, per raggiungere i propri fini, hanno bisogno degli altri e che la massimizzazione del proprio profitto si può scontrare con quella altrui; pertanto ogni individuo deve necessariamente limitare le proprie mire espansionistiche e accettare di interagire per assicurarsi la sopravvivenza. Secondo tale principio (Smith, 1759) la società si regge per l’azione di “mano invisibile”, che, nel bilanciare gli interessi personali di ogni individuo, raggiunge tutto, controlla tutto, esiste in tutto e decide tutto.

Nonostante il concetto di “mano invisibile” sia stato formulato da Smith, l’espressione ricorre una sola volta nella sua opera (Smith, 1759). Ad amplificarne l’uso sono stati alcuni economisti successivi (Ricardo, 1817; Malthus, 1826; Mill, 1836; Marshall, 1920). La prima teorizzazione della categoria dell’Homo Oeconomicus si deve a John Stuart Mill in On the definition of political economy and on the method of philosophical investigation in that science (1836) che, a partire dalla formulazione dell’utilitarismo e dal principio di utilità di Jeremy Bentham (1789), descrive un soggetto in grado di utilizzare la propria capacità di calcolo razionale per massimizzare la soddisfazione derivante dal consumo e acquisizione di beni economici. Per gli economisti classici non era esclusa la possibilità che gli uomini potessero provare sentimenti di benevolenza e amore per il prossimo, ma si riteneva che tali fattori non riuscissero a influenzare il comportamento umano in termini di scelte economiche: l’agire economico sovrasta qualsiasi altra ‘‘passione umana” (Mill, 1836).

Ma chi è in realtà l’Homo Oeconomicus? Come noto è possibile individuare almeno tre aspetti fondamentali di tale modello: l’individualismo, l’impianto utilitaristico e la razionalità. L’individualismo fonda le sue radici all’interno di una concezione antropologica secondo cui l’uomo è un essere asociale, rivolto unidirezionalmente all’interesse personale (self-interest); da ciò discende che gli individui perseguono i propri obiettivi cercando di realizzarli nel modo più esteso possibile riducendo al minimo i costi connessi. Ne consegue che l’Homo Oeconomicus è prevalentemente amorale, ignorando qualsiasi valore sociale che non sia funzionale al raggiungimento dei suoi obiettivi.

Il secondo principio, ovvero l’impianto utilitaristico (Bentham, 1789), parte dal presupposto che ogni individuo agisca spinto dalla massimizzazione del proprio benessere e, in tale sforzo, sia essenzialmente guidato da ragioni economiche: anche gli atteggiamenti apparentemente altruistici possono nascondere un interesse individuale. Secondo gli utilitaristi, le decisioni che gli uomini assumono sono mosse dall’idea di un profitto o di una ricompensa e “l’unico ordine razionale possibile è quello che conduce ogni uomo a comportarsi secondo la sua più grande utilità” (pensiero di Rosmini - Hoevel, 2013).

Il terzo aspetto è la razionalità calcolante imperniata sul rapporto mezzo-fine. La razionalità dell’Homo Oeconomicus assume un’accezione diversa dal significato comune del termine: essa si basa sul presupposto che il soggetto abbia certe preferenze che è in grado di disporre in sequenza logica, che sia capace di massimizzare la sua soddisfazione attraverso le risorse disponibili e che sia in grado di analizzare e prevedere nel modo migliore le situazioni e i fatti allo scopo di effettuare la scelta più corretta. In alcune ipotesi, all’Homo Oeconomicus viene attribuita una razionalità perfetta.

L’economia neoclassica, con il tempo, ha esteso l’applicazione dei modelli tradizionali ad altre categorie di comportamenti dell’individuo che non si riferissero esclusivamente all’acquisizione o al consumo di beni. Tuttavia, lo stesso Mill fa notare che il modello dell’Homo Oeconomicus va limitato soltanto ai movimenti economici ed è quindi funzionale a spiegare solo l’agire economico degli individui.

Già dai primi anni del Novecento, alcuni psicologi ed economisti cominciarono a mettere in discussione la validità delle teorie economiche tradizionali (McDougall, 1908; Mitchell, 1910). Negli anni ’50, a seguito della nascita dell’economia comportamentale, alcuni ricercatori iniziarono a mostrare un certo scetticismo rispetto alla struttura assiomatica in tema di razionalità del comportamento umano (Simon, 1957; Smith, 1976), ma fu solo negli anni ‘70 che a tale filone di ricerca venne riconosciuta una rilevanza scientifica nell’approccio all’analisi dei fenomeni economici, che si differenziava da quello neoclassico. Come già accennato, Daniel Kahneman e Amos Tversky (1973), per la prima volta, sferzarono un attacco frontale alla validità del costrutto teorico dell’Homo Oeconomicus, mettendolo profondamente in crisi. Essi riuscirono a dimostrare che le decisioni dell’individuo non solo non sono sempre razionali e oggettive, ma in alcuni casi appaiono addirittura “illogiche”, se misurate con il metro dell’Homo Oeconomicus. A tal proposito, Simon Herbert nel 1987 affermava che “l’economia comportamentale s’interessa della validità empirica delle assunzioni neoclassiche rispetto al comportamento umano, e, quando le stesse risultano invalide, della scoperta delle leggi empiriche che descrivano il comportamento nella maniera più corretta e accurata possibile”.

In seguito, molti ricercatori si sono dedicati allo studio e all’applicazione dell’economia comportamentale per comprendere meglio l’individuo e le sue scelte (Camerer, 2003; Camerer et al., 2004; Bardsley et al., 2010). Nonostante ciò, come evidenzia Katrine Marçal (2012), ancora oggi l’economia mainstream continua a insegnare che i principi su cui si basa l’agire umano corrispondono ai dettami dell’uomo economico. Più recentemente la giornalista, nel suo libro I conti con le donne: come gli economisti hanno dimenticato l’altra metà del mondo, ritiene che gli economisti nel disperato tentativo di standardizzare e racchiudere in un “modello” il comportamento dell’essere umano, abbiano commesso l’errore di applicare all’economia lo stesso metodo scientifico che Newton utilizzava per spiegare l’astronomia e la matematica; essi hanno isolato l’individuo dagli altri suoi simili e dall’ambiente che lo circonda “così come accade quando si scompone un elemento chimico nella sua particella più piccola al fine di comprenderlo meglio” (Marçal, 2012 - p.19). Nella realtà gli essere umani sono invece fortemente condizionati dall’ambiente circostante. Essi mettono in atto dei comportamenti altruistici e prosocial che difficilmente si sposano con l’immagine individualista e self-oriented propagandata dall’economia standard. Nella vita di tutti i giorni i veri esseri umani lasciano la mancia al cameriere anche se non ritorneranno più in quel bar (Conlin et al., 2003), sono disposti a lavorare insieme ad altri, fanno volontariato e spesso antepongono il benessere altrui al proprio (Musella et al., 2015).

Non sempre gli esseri umani calcolano razionalmente il rapporto tra costi e benefici; molte volte le loro decisioni dipendono dall’urgenza percepita del bisogno, dagli istinti, dalle abitudini, dalle credenze, dai valori, dall’educazione; inoltre, spesso, sono spinti da sentimenti di empatia e compassione che li inducono ad aiutare chi è nel bisogno, anche se si tratta di persone sconosciute (Sen, 1988; Caruso, 2012). Questa idea, rafforzata da una grande quantità di prove neuro-scientifiche ereditate dall’economia cognitiva (Innocenti, 2009), contraddice l’enfasi sull’individualismo che prevale nelle società occidentali, suggerendo, invece, che il sistema cerebrale umano sia cablato per la risonanza affettiva, e che le persone riflettano naturalmente e in maniera reciproca emozioni e stati motivazionali (Drouvelis, Grosskopf, 2016). Inoltre, tramite l’applicazione della ricerca sperimentale all’economia comportamentale, emerge la presenza di un alto grado di tendenze prosociali nel comportamento e interazioni umane (Frey, 1998; Caprara, Bonino, 2006).

Recentemente gli economisti sono diventati più recettivi all’idea che l’utilità degli individui possa dipendere da norme sociali e sentimenti (Elster, 1989; Rabin, 1998) e che l’economia sperimentale possa essere usata come uno strumento per indagare le variabili che influenzano il comportamento umano. Ciò ha portato i ricercatori a compiere esperimenti sui quei comportamenti economici che hanno a che fare con il prosocial behaviour e che non possono essere spiegati razionalmente (Conlin et al., 2003).

 

La tradizione del caffè sospeso

Il caffè sospeso è un’antica tradizione napoletana, che consiste nel pagare un caffè in più rispetto a quello consumato, per destinarlo a qualche cliente di passaggio, solitamente meno abbiente, come piccolo ma significativo gesto di solidarietà. Da qui il nome ‘‘sospeso’’, ovvero una consumazione pagata ma non consumata, appunto ‘‘sospesa’’, poiché rimane a disposizione del cliente successivo. Il caffè, momento di socializzazione, simbolo di Napoli e rito di accoglienza, diventa così indicatore del prosocial behaviour. Il gesto di pagare un caffè, non per consumarlo personalmente, ma per lasciarlo al prossimo, dal punto di vista dell’economia neoclassica è di difficile comprensione. Infatti, essendo assolutamente contrario all’idea di consumatore tradizionale (individuo orientato esclusivamente a massimizzare il proprio interesse e privo di qualsiasi tendenza prosociale), non avrebbe nessun senso logico, in quanto diminuisce il proprio reddito per accrescere la funzione di utilità di un altro individuo completamente sconosciuto: che l’Homo Oeconomicus abbia anch’egli un cuore?

Raccogliendo informazioni tra la gente e tra i proprietari dei bar (dove è possibile lasciare il caffè sospeso) è emerso che esiste più di una scuola di pensiero al riguardo. Una prima scuola vede in questo gesto essenzialmente un desiderio di condivisione di un momento di gioia. “Una volta a Napoli, nel quartiere Sanità, quando uno era allegro, perché qualcosa gli era andata bene, invece di pagare un caffè ne pagava due e lasciava il secondo caffè, quello già pagato, per il prossimo cliente. Il gesto si chiamava ‘il caffè sospeso’. Poi, di tanto in tanto si affacciava un povero per chiedere se c’era un ‘sospeso’. Era un modo come un altro per offrire un caffè all’umanità” (De Crescenzo, 2008 - p.11).

Una diversa scuola di pensiero interpreta questa gesto essenzialmente come atto di solidarietà e generosità nei confronti delle persone più bisognose. Tale tradizione, nata durante la seconda guerra mondiale (anche se, secondo la giornalista Lorenza Castagneri (2013), la sua origine risale all’Ottocento) in un momento critico della storia napoletana e nazionale, è considerata un gesto di sostegno per le persone meno abbienti da parte degli avventori più ricchi, in una società che economicamente stava cadendo a picco.

Infine, secondo lo scrittore Riccardo Pazzaglia (2004), la tradizione avrebbe avuto origine dalle dispute che sorgevano al momento di pagare il caffè tra gruppi di amici o conoscenti, incontratisi al bar; poteva succedere, allora, che nell’incertezza di chi avesse consumato e chi ritenesse di dover pagare per gli altri, si finisse per pagare un caffè che non era stato consumato. In tal caso, non si chiedeva indietro il credito che ne scaturiva, ma si lasciava valida l’offerta a beneficio di uno sconosciuto. Questa usanza faceva parte di un repertorio di gesti coesivi e solidali che erano in uso nella società napoletana, tra cui il cosiddetto “acino di fuoco”, un tizzone portato sulla paletta che, nei cortili napoletani, veniva offerto da chi aveva già acceso il focolare in ore più mattiniere a beneficio degli altri coinquilini che potevano risparmiare il consumo dei fiammiferi (Pazzaglia, 2004).

Dopo un periodo di stasi, con le recenti crisi economiche, l’usanza del caffè sospeso è stata ripresa con gran vigore, non solo a Napoli ma anche in molte altre città italiane e del mondo. Un ottimo esempio è rappresentato dal movimento “Suspended Coffees”, fondato dall’irlandese John M. Sweeney, il quale vanta più di 1400 bar in 24 Paesi del mondo che hanno aderito all’iniziativa di adottare il caffè sospeso. A Napoli, come sentimento di solidale partecipazione all’attuale difficile periodo sociale ed economico, è stata fondata nel 2010 la “Rete del Caffè sospeso”, alla quale hanno aderito diversi rinomati bar della città, tra cui anche il caffè Gambrinus.

Quale che sia la motivazione, desiderio di condivisione, solidarietà e altruismo, lasciare il caffè sospeso è un gesto di apertura verso il prossimo, per tale ragione è stato utilizzato come indicatore (proxy) di un prosocial behaviour nell’esperimento che sarà descritto nel paragrafo seguente.

Federica D'Isanto Università degli Studi di Napoli "Federico II"

Salvatore Di Martino Leeds Beckett University UK