14  DICEMBRE 2019
 
Innovazione sociale e pratiche tecnoscientifiche: il caso delle reti wireless comunitarie

Innovazione sociale e pratiche tecnoscientifiche: il caso delle reti wireless comunitarie

Abstract

Nel corso dell’ultima decade, un numero crescente di discipline interessate ai processi dell’innovazione ha rivolto l’attenzione al fenomeno delle reti wireless comunitarie (RWC). Queste ultime, consolidatesi ormai a livello globale, si configurano come un’infrastruttura costruita e autogestita da appassionati e cittadini, interessati a collaborare su base volontaristica con l’obiettivo di generare un nuovo modello di comunicazione digitale alternativo a Internet e ai servizi commerciali offerti sul mercato dagli Internet Service Provider (ISP). Le RWC rappresentano un caso emblematico per esplorare non solo gli aspetti tecnici di tecnologie sempre più pervasive nella società contemporanea, ma anche per mettere a fuoco le relazioni fra dimensioni sociali, politiche e tecnoscientifiche che sostengono le pratiche di innovazione. Infatti, le più recenti esperienze di RWC hanno acquisito un ruolo centrale nella ridefinizione delle forme di partecipazione e attivismo politico legato ai media digitali, e alle sue forme di innovazione.

Questo saggio, sulla base dei dati raccolti attraverso una ricerca qualitativa sulla nascita e sviluppo della principale RWC attiva in Italia, mette in luce in che modo le reti comunitarie rappresentano una peculiare forma di innovazione sociale, là dove un insieme di individui – al di fuori delle tradizionali istituzioni di innovazione e sviluppo e sulla base di valori e credenze politiche – cooperano per dare vita a una nuova infrastruttura capace di sostenere la partecipazione e l’inclusione sociale nella società digitale. Nel fare questo, l’articolo enfatizza la dimensione processuale dell’innovazione sociale quale pratica emergente dalla cooperazione attiva fra soggetti umani e tecnologie, nel corso della quale visioni politiche, strumenti tecnici e partecipazione sociale si influenzano e si trasformano vicendevolmente.


During the last decade, a growing number of disciplines dealing with innovation processes focused started to investigate the phenomenon of wireless community networks (WCN). These networks, now consolidated on a global level, represent an infrastructure that is entirely built and self-managed by citizens voluntarily cooperating to create a new model of digital communication other than the Internet and commercial services offered on the market by Internet Service Providers (ISP). WCN, therefore, represent an emblematic case to explore not only the technical aspects of more and more pervasive technologies within contemporary society, but also to focus on relations between social, political and techno-scientific dimensions supporting innovation practices. In fact, most recent experiences of WCN acquired a central role in redefining participation practices and political activism linked to digital media, and its forms of innovation.

This paper, on the basis of data collected through a qualitative research on the origin and development of the main RWC in Italy, throws light upon the way in which community networks represent a peculiar form of social innovation, where a system of individuals – beyond traditional innovation and development institutions and on the basis of political values and beliefs – cooperate to originate a new infrastructure managing to endorse participation and social inclusion in the digital society. In doing this, the paper emphasizes the procedural dimension of social innovation as an emerging practice in the active cooperation among human beings and technologies, during which political visions, technical tools and social participation have an impact on each other and transform themselves.

 

Introduzione

Negli ultimi decenni, cittadini e organizzazioni della società civile hanno assunto un ruolo sempre più rilevante nel generare e sostenere nuove forme di innovazione all’interno di numerosi contesti, fra i quali la salute, l’educazione, il social networking e le tecnologie per l’informazione e la comunicazione (ICT) (Tapia, Ortiz, 2010; Maiolini et al., 2015). Nel caso delle ICT, in particolare, queste forme emergenti di innovazione sono sempre più caratterizzate da un’inedita cooperazione orizzontale fra attori sociali diversi, come scienziati e ricercatori, hackers, volontari, attivisti politici e cittadini, interessati in vario modo a collaborare in progetti ad alto contenuto tecnologico e con un riconosciuto valore sociale (Le Dantec, DiSalvo, 2013; Crabu, Magaudda, 2015). Questo fenomeno ha attirato l’attenzione di diversi ambiti d’indagine, fra cui la sociologia, il diritto e l’economia, dove queste nuove forme di collaborazione sono state spesso ricondotte alla nozione di innovazione sociale (Nicholls, Murdock, 2012). Sebbene il concetto di innovazione sociale non possieda una definizione univoca, esso può essere utilizzato per descrivere quelle forme emergenti di collaborazione tra attori sociali eterogenei – organizzazioni di volontariato, soggetti operanti nel terzo settore, associazioni informali e altri gruppi di interesse – che intervengono in modo innovativo in determinati ambiti per la risoluzione di problematiche sociali, rispetto alle quali l’azione dello Stato o del settore privato si è rivelata inadatta o insoddisfacente. Si tratta spesso di attività che, da un lato, possono generare nuove idee, prodotti e servizi e, dall’altro, definire nuove configurazioni di collaborazione per la giustizia sociale, l’equità, la gestione dei beni comuni e la salvaguardia dei diritti sociali (Pol, Ville, 2009; Iaione, 2015).

Questo saggio intende contribuire al dibattito sull’innovazione sociale enfatizzando la dimensione processuale ed emergente delle pratiche di collaborazione, nell’ambito delle quali si assiste alla crescente necessità di allineare visioni politiche, contesti culturali locali, sistemi tecnologici e conoscenze scientifiche. Per fare questo si assumerà la prospettiva teorica degli Science and Technology Studies (S&TS), che fornisce un quadro interpretativo in grado di mettere in luce le relazioni di mutua produzione tra le dimensioni culturali, politiche e tecnologiche centrali nei processi di innovazione sociale (Callon et al., 2009; Bijker et al., 2010; Brown, 2014). L’articolo presenterà poi l’esperienza del progetto Ninux, una tipologia emergente di infrastruttura locale per la comunicazione digitale costruita “dal basso”, che rientra nella categoria delle cosiddette reti wireless comunitarie (RWC) (Caso, Giovanella, 2014; Crabu et al., 2016). Le RWC sono delle infrastrutture bottom-up che si basano su un’architettura di rete “distribuita”, costruita e autogestita da una comunità di volontari composta da diversi tipi di soggettività, fra cui hackers e nerd, studenti e operatori tecnici, attivisti politici e semplici cittadini.

La presentazione dei dati empirici permetterà di qualificare i processi di innovazione sociale come percorsi cooperativi, ma al tempo stesso erratici, che si concretizzano in spazi non immediatamente riconducibili a quelli dove le attività di innovazione e sviluppo possono avere tradizionalmente luogo, come aziende o centri di ricerca. In questo modo osserveremo l’innovazione sociale nel suo farsi, a partire dalle pratiche in cui cornici culturali, artefatti tecnologici e conoscenze scientifiche interagiscono in una dinamica di reciproca riconfigurazione (Bijker, Law, 1992).

 

Innovazione sociale, tecnologie e pratiche sociomateriali

La governance dell’innovazione – nelle sue diverse declinazioni organizzative, tecnologiche e istituzionali – rappresenta un tema strategico nelle trasformazioni della società contemporanea (Bruni, 2014). I governi nazionali, così come le istituzioni internazionali, promuovono sempre più spesso programmi di finanziamento a sostegno della creazione ed adozione di nuove tecnologie che razionalizzano, sotto il profilo economico e finanziario, i processi produttivi e l’erogazione di beni e servizi. In questo scenario le scienze sociali si interrogano sulle modalità di creazione, adozione e consumo delle tecnologie, per indagare in profondità i mutamenti sociali e istituzionali (Fagerberg, 2005).

Fra la pluralità di modelli e concetti analitici elaborati dalle scienze sociali per rendere conto dei processi innovativi, ha assunto una crescente rilevanza la nozione di innovazione sociale, intesa come un vettore capace di generare un impatto innovativo portatore di un riconoscibile valore sociale. Non solo i ricercatori, ma anche i policy maker – nazionali e sovranazionali – hanno posto particolare enfasi sul tema dell’innovazione sociale, in particolare riconoscendo al social networking e alle ICT un ruolo significativo a sostegno di iniziative volte alla creazione di nuove tecnologie e infrastrutture della comunicazione (Arvidsson, Giordano, 2013; Maiolini et al., 2015).

Nonostante l’innovazione sociale sia stata ampiamente studiata da un punto di vista teorico e con finalità definitorie, nel dibattito accademico non esiste ancora una definizione univoca di tale concetto (Pol, Ville 2009; Pirone, 2012). Per gli scopi di questo saggio, senza la pretesa di essere esaustivi, con il termine “innovazione sociale” intenderemo un insieme di attività, volte a generare interventi e strumenti, che si pongano l’obiettivo di far fronte a problematiche di rilevanza sociale, fra cui la salute, l’educazione, la democratizzazione dell’accesso alle tecnologie per la comunicazione digitale etc. L’innovazione sociale, quindi, si orienta anche verso quegli ambiti, talvolta caratterizzati da conflitti sociali, dove le istituzioni di governo, le politiche pubbliche o gli operatori presenti sul mercato fanno fatica a intervenire in maniera equa e responsabile (Phills et al., 2008). Sotto questo profilo, la dimensione “sociale” dell’innovazione viene fatta derivare dalla condivisione di elementi, valori e credenze che portano gli innovatori ad adottare una logica d’azione capace di costruire soluzioni efficaci ed efficienti a un determinato problema comune, generando al contempo un beneficio complessivo per la società, piuttosto che per il singolo individuo o per la singola organizzazione. In altre parole, l’innovazione è “sociale” quando guarda alla creazione di vantaggi in relazione alla società nella sua complessità, piuttosto che al profitto privato o ai guadagni generati dalle attività di mercato. Si tratta, quindi, di un tipo di innovazione per certi versi alternativa, benché compresente, all’innovazione business-oriented, là dove primeggia una peculiare attenzione alla creazione di nuove idee e strumenti che abbiano un impatto positivo sulla qualità della vita della comunità su cui quell’innovazione insiste (Cajaiba-Santana, 2014).

Questo insieme di caratteristiche hanno portato l’innovazione sociale a diventare un concetto mainstream nelle politiche pubbliche. Allo stesso tempo, tuttavia, sono rimaste carenti le indagini empiriche volte a comprendere la sua morfologia, così come la sua configurazione sociale, tecnologica e organizzativa. A partire dal riconoscimento di queste criticità, questo saggio intende mostrare che l’innovazione sociale rappresenta l’esito complesso di tensioni e convergenze fra saperi, istituzioni, visioni politiche e tecnologie; una trama organizzativa in cui sono in gioco attori sociali fra loro molto diversi, che cooperano in contesti non necessariamente riconducibili ai luoghi convenzionali della ricerca e dello sviluppo. L’obiettivo di questo lavoro è quindi quello di considerare l’innovazione sociale non solo come un insieme di relazioni che coinvolgono agenti sociali operanti entro una comunità predefinita, ma anche in riferimento al ruolo che la dimensione tecnologica e materiale svolge nel supportare e abilitare gli stessi attori nella costruzione di queste relazioni. Nel perseguire questo obiettivo, adotteremo una prospettiva maturata nel campo degli Science & Technology Studies, in grado di mettere in luce l’innovazione sociale nella sua processualità, quale pratica situata e “sociomateriale” (Orlikowski, 2007; Crabu, 2014), ovvero agita da attori sociali in collaborazione con tecnologie e conoscenze all’interno di contesti eterogenei e non tradizionali (Callon, 1999).

 

Il fenomeno delle reti wireless comunitarie nel quadro internazionale

Le RWC sono infrastrutture locali, di matrice volontaria spesso di dimensione cittadina, basate sulla tecnologia delle antenne wireless e finalizzate a interconnettere gli utenti attraverso una rete decentralizzata, autonoma rispetto a Internet e autogestista. La scelta di sviluppare questo tipo di rete su base volontaria fonda la sua ragion d’essere su un insieme di motivazioni che sono allo stesso tempo tecnologiche, culturali e politiche. Più precisamente, i partecipanti a queste esperienze condividono l’ideale rappresentato dalla necessità di sostenere l’uso di reti decentralizzate, non sottoposte al controllo governativo o allo sfruttamento commerciale. Il funzionamento di queste reti è basato sull’utilizzo di protocolli sviluppati dagli stessi utenti esperti, che partecipano anche in prima persona alla costruzione dell’infrastruttura materiale (per esempio, in caso di necessità, al montaggio sui tetti delle antenne per trasmettere il segnale wireless).

Il modello di innovazione incarnato dalle RWC risulta particolarmente emblematico rispetto ad alcune recenti tendenze della società e delle culture digitali, anche in relazione al dibattito sull’innovazione sociale. Da un lato, le RWC rappresentano uno degli sviluppi più recenti delle tecnologie della comunicazione digitale e, dunque, possono essere considerate come un piccolo frammento, critico e alternativo, del più ampio processo di costruzione della società digitale (Castells, 1996; Balbi, Magaudda, 2014). Allo stesso tempo, sono un caso esemplare rappresentativo delle possibilità che gli stessi utenti hanno nel modificare e influenzare, in parziale autonomia, la scienza e l’evoluzione tecnologica, portando dunque in evidenza la componente collaborativa e “sociale” di queste innovazioni (Epstein, 1996; Oudshoorn, Pinch, 2003).

Da un punto di vista politico, l’esperienza delle RWC si inserisce all’interno di una più generale analisi critica sull’uso dei media e delle tecnologie della comunicazione (Fuchs, 2011). In questo senso, le RWC possono essere viste come l’espressione di una specifica corrente culturale del “mediattivismo”, divenuto particolarmente vitale negli ultimi anni, anche in seguito al cosiddetto “Datagate”, ovvero lo scandalo sulle rivelazioni fatte nel 2013 da un ex-tecnico della CIA e dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale americana sul programma di controllo e sorveglianza di massa delle telecomunicazioni avviato da Stati Uniti e Regno Unito.

Infine, un’ulteriore implicazione delle reti distribuite riguarda il tema dell’innovazione tecnoscientifica, e in particolare le modalità attraverso cui le RWC danno forma a processi di innovazione “dal basso” (Eglash et al., 2004; Von Hippel, 2005; Chesbrough et al., 2006), i quali appaiono sempre più centrali anche per le politiche comunitarie a sostegno delle attività di ricerca e sviluppo nell’ambito delle ICT quale settore strategico per il rilancio della competitività europea (si pensi, ad esempio, al programma Horizon 2020 della Commissione Europea, con il quale sono stati stanziati 774,26 milioni di euro per il 2014 e 854,1 milioni per il 2015 a sostegno delle attività di ricerca nel campo delle ICT). La partecipazione attiva di cittadini e utenti finali nella costruzione dell’infrastruttura tecnologica rende, dunque, le RWC un esempio peculiare di innovazione sociale nel campo delle ICT.

Pur collocandosi in una pluralità di ambiti disciplinari, le RWC sono state finora oggetto di una ricerca sporadica e marginale, soprattutto per la difficoltà di inquadrarne i contorni all’interno di una prospettiva di analisi definita. Le RWC sono un fenomeno propriamente tecnologico, con rilevanti implicazioni di ordine tecnico, ma al tempo stesso anche sociale, dove i cittadini collaborano su base volontaria, e a partire da contesti culturali comuni, per costruire una nuova infrastruttura e definire modalità di comunicazione innovative (Balbi et al., 2016).

L’esperienza italiana delle RWC si inserisce in una più generale tendenza di evoluzione delle infrastrutture distribuite per la comunicazione digitale a livello internazionale, manifestatasi a livello europeo nel corso dell’ultima decade. Negli ultimi anni, in diversi paesi europei sono stati lanciati progetti di costruzione di reti comunitarie basate sulla decentralizzazione dell’infrastruttura, autogestite dai membri della comunità e spesso organizzate intorno a gruppi di attivisti che condividono una serie di orizzonti culturali, a cui si è accennato in precedenza. L’esempio probabilmente più complesso e articolato è rappresentato dalla rete della Catalunia Guifi.net, un network comunitario decentralizzato nato nel 2004 e costituito oggi da più di 30mila “nodi”. Una delle particolarità che distingue, in parte, la rete Guifi.net dal contesto italiano è il fatto che ha sviluppato un processo di istituzionalizzazione e di collaborazione con vari enti locali, i quali sono stati direttamente coinvolti nella costruzione di altre “isole” di grandi dimensioni. Anche grazie a queste collaborazioni, la rete Guifi.net è oggi una delle più grandi in Europa, dove comunque esistono anche altre esperienze rilevanti, come la rete Freifunk in Germania e la rete Wlan-SI in Slovenia. Sebbene di più piccole dimensioni, la rete italiana denominata Ninux rappresenta la declinazione locale di questo fenomeno di portata internazionale.

 

L’esperienza italiana di Ninux

Il movimento italiano delle RWC è composto da varie “isole” locali, la gran parte delle quali si sono federate a livello nazionale in un’organizzazione informale chiamata Ninux. Nel 2016 Ninux conta, a livello italiano, circa una decina di gruppi attivi in altrettante città. I volontari che costruiscono materialmente le infrastrutture a livello locale condividono una visione comune rispetto alle implicazioni sociali delle RWC, alle sue dimensioni tecnologiche, ai principi relativi alle finalità di queste reti e il loro rapporto con il mercato. Questi principi, riassunti nel Manifesto, evidenziano gli elementi di innovazione sociale che questo progetto incarna, in particolare:

  • l’importanza di Ninux quale vettore per la democratizzazione della rete e per la lotta a digital divide;
  • il sostegno al movimento open content in favore della conoscenza aperta e condivisa;
  • una presa di distanza dall’attuale governance di Internet e dalle logiche commerciali che lo caratterizzano.

Questo insieme di principi è l’esito di una traiettoria di sviluppo che ha permesso alla comunità d Ninux di consolidare un progetto che tiene insieme, in una particolare modalità di innovazione sociale, sia la costruzione di una nuova infrastruttura tecnica che aspettative e valori riguardanti il rapporto sociale fra individui e tecnologie della comunicazione.

Ninux ha preso avvio a Roma nel 2001, seguendo le orme di progetti simili sviluppatisi in altri paesi, tra cui il più noto è il Seattle Wireless creato nel 2000 nel nord-ovest degli Stati Uniti (Crabu et al., 2015; Maccari, Lo Cigno, 2014; 2015). In quegli anni, in Italia, l’uso di Internet era ancora in una fase iniziale e la tecnologia wireless era sostanzialmente sconosciuta ai più; per questa ragione, hackers, nerd o appassionati di radio-telecomunicazioni vedevano nella possibilità di costruire una rete wireless dal basso una sfida entusiasmante e all’avanguardia. Intorno al 2008 si verificò quella che dai partecipanti all’isola di Roma viene definita una “svolta”. In quel periodo un’azienda americana aveva iniziato a immettere sul mercato delle antenne wireless a basso costo che, facilitando enormemente l’installazione e la messa in funzione dei nodi, furono immediatamente adottate come strumenti di riferimento da tutti i membri di Ninux. Più precisamente, si tratta di antenne e access point wireless per ambienti esterni, che non richiedono particolari attività di configurazione né di autorizzazione da parte di autorità pubbliche. Grazie a questo dispositivo molti aspetti tecnici complessi vennero in parte risolti (non è più necessario costruire artigianalmente le antenne) e, conseguentemente, la partecipazione al progetto divenne più ampia: anche persone che non possiedono una formazione specialistica possono apprendere le competenze di base necessarie alla gestione del proprio “nodo”. Anno dopo anno, grazie anche alla realizzazione di alcuni servizi (come la condivisione di file e di strumenti collaborativi), il progetto ha attirato un numero crescente di partecipanti singoli, di associazioni civiche nonché di centri sociali autogestiti, trasformando così un iniziale esperimento tra pochi amici in una rete wireless cittadina costituita, nel 2016, da circa 350 nodi.

Negli ultimi anni Ninux si è diffusa in altre città italiane, dove sono stati avviati progetti gemelli con il medesimo nome. In città come Pisa e Firenze le reti sono di dimensioni più piccole, contando una ventina di nodi attivi. Pisa rappresenta l’isola in cui la RWC ha assunto una connotazione politica più forte, soprattutto perché le attività di costruzione dell’infrastruttura sono diventate parte integrante del progetto politico di un “collettivo universitario” impegnato in pratiche di autoproduzione e autoformazione chiamato eigenLab. Quest’ultimo, oltre a riunire più di trenta attivisti molto affini alle pratiche del cyberattivismo, rappresenta una delle primissime realtà italiane ad aver sperimentato la pratica dello “sciopero digitale” attraverso l’uso dei social network. La rete di Firenze, nata poco dopo Pisa, ha raccolto la partecipazione di alcuni hacker storici fiorentini, venuti a conoscenza del progetto Ninux durante gli incontri annuali della comunità hacker italiana. Ninux Firenze non si identifica come un’esperienza esplicitamente politica, benché sia ampiamente condivisa l’idea che il modello della rete wireless distribuite rappresenti un’alternativa percorribile all’attuale organizzazione centralistica e market-oriented di Internet. Infine, una delle più recenti esperienze di maturazione del progetto Ninux è quella di Bologna, dove un gruppo di radioamatori, nerd e appassionati di nuove tecnologie ha iniziato ad installare i primi nodi in città. Le diverse declinazioni delle RWC nelle varie città evidenziano quanto le caratteristiche e le istanze sociali dei territori e dei contesti locali contribuiscano a dare forma e identità a questa tipologia di innovazione.

Stefano Crabu Università degli Studi di Padova

Paolo Magaudda Università degli Studi di Padova