14  DICEMBRE 2019
 
Economia collaborativa e innovazione nelle imprese cooperative: opportunità emergenti e sfide per il futuro

Economia collaborativa e innovazione nelle imprese cooperative: opportunità emergenti e sfide per il futuro

Abstract

L’economia collaborativa definisce un nuovo modello organizzativo e di business basato sull’uso di piattaforme digitali per connettere tra loro persone che vogliono scambiarsi beni o servizi in modo diretto, semplice, e con la minima intermediazione. Tale modello ha visto un boom negli ultimi anni, soprattutto grazie alla rapida crescita di alcune piattaforme che ne hanno mostrato l’enorme potenziale in termini di mercato e di valore commerciale. Sono tuttavia rimaste nell’ombra le esperienze che hanno cercato di usare il modello piattaforma in connessione con finalità di tipo più solidaristico o sociale. Questo contributo vuole mettere in luce le aspirazioni e le potenzialità dell’economia collaborativa per le imprese cooperative, discutendo come queste possono fare uso di tale modello o mutuarne parzialmente alcuni elementi, adattandoli attentamente alle proprie finalità ed identità. Al termine dell’analisi, si proverà inoltre a delineare alcune sfide per il futuro e a richiamare gli aspetti maggiormente critici sui quali sarà necessaria ulteriore ricerca e riflessione, sia dentro che fuori dal mondo cooperativo.


The collaborative economy defines a new organizational and business model that uses digital platforms to connect distributed groups of people and allow them to exchange goods and services in a direct and simple way, with very limited intermediation. Such model has seen a significant boom in the past few years, mainly thanks to the rapid growth of some platforms, which proved the enormous potential of the model in terms of market and commercial value.  However, other experiences that tried to use the platform model for social and solidaristic objectives tended to remain less visibile. This contribution aims to shed light on the aspirations and potential of the collabirative economy for cooperative enterprises, and to discuss how these may make use of such model or adopt some of its elements, carefully adapting them to their own objectives and identity. At the end of the analysis, we also try to discuss some of the future challenges and to highlight the main critical issues that will need to be further investigated and discussed, both inside and outside the cooperative circles.

English Version

 

Economia collaborativa: definizione di un fenomeno emergente

Quando si parla di economia collaborativa non ci si riferisce a qualcosa di chiaramente delimitato e definito, quanto più ad un insieme ampio e variegato di pratiche, accomunate essenzialmente dall’utilizzo del “modello piattaforma” e delle tecnologie digitali per mettere in contatto le persone ed abilitare scambi e collaborazione tra pari. Generalmente le piattaforme di economia collaborativa facilitano l’incontro tra coloro che sono in possesso di risorse che non usano pienamente (e che quindi desiderano condividere o scambiare) e coloro che hanno necessità di tali risorse (e quindi interesse ad entrare in contatto con chi le possiede). Le risorse scambiate sono di vario tipo: beni, spazi ed altre risorse materiali, ma anche risorse immateriali, come competenze e conoscenze, che vengono messe a disposizione di potenziali interessati per massimizzarne il valore e l’utilità sociale.

L’origine dell’economia collaborativa si può far risalire agli anni ‘90 del secolo scorso1, ma il suo boom si è avuto solo nella seconda metà degli anni 2000, quando le potenzialità delle nuove tecnologie hanno incontrato una crescente domanda di cambiamento del modello socio-economico globale. In quegli anni, infatti, la crisi economica con il suo carattere sistemico e la messa in discussione dei paradigmi neo-liberisti dominanti hanno favorito l’emergere e la progressiva affermazione di forme “alternative” di economia, più centrate sulla persona, sulla condivisione, sull’utilizzo pieno ed efficiente delle risorse, creando un terreno ideale per il fiorire di prassi collaborative.

Nel vasto universo di pratiche che compongono l’economia collaborativa ricadono attività estremamente diverse tra loro: piattaforme web che facilitano lo scambio peer-to-peer (tra pari) di beni e servizi, movimenti legati allo sviluppo di software open source, banche del tempo, finanza alternativa peer-to-peer, coworking, fab lab e attività dei makers, e molto altro. In questi contesti le modalità di scambio e condivisione variano notevolmente, avvenendo talvolta in forma del tutto volontaria e gratuita, in altri casi attraverso meccanismi di mercato più classici, come l’affitto e la vendita (per cui chi accede alla risorsa desiderata, paga alla controparte una corrispettivo in denaro).

In generale, il tratto più caratteristico delle piattaforme di economia collaborativa risiede nel fatto di essere peer-to-peer, ovvero nate per abilitare una collaborazione tra pari, che aggira gran parte delle strutture che tradizionalmente intermediano gli scambi e le relazioni economiche e sociali.

Un altro aspetto caratteristico delle piattaforme collaborative è l’uso della tecnologia digitale per facilitare gli scambi in modo diretto, creando innanzitutto opportunità di matching tra domanda e offerta più rapide e flessibili di quelle tradizionali e a bassissimi costi di transazione, e permettendo inoltre la connessione anche tra persone distanti e sconosciute, allargando in tal modo la cerchia di interazioni e conoscenze. Quest’ultimo aspetto è particolarmente interessante, se si pensa che alcune tipologie di scambi tradizionali avvengono solo con persone conosciute e per le quali pre-esistono forti legami fiduciari interpersonali (es. prestare un bene, ospitare una persona in casa, scambiare cibo) (Schor, 2014). Proprio perché creano relazione e scambio tra sconosciuti, le piattaforme di economia collaborativa possono diventare veicolo di nuove relazioni sociali, promuovendo l’incontro e la socializzazione, e talvolta anche la creazione di “comunità” e identità condivise2. Non a caso sulle piattaforme gli utenti vengono incoraggiati a condividere informazioni su di sé e sui propri gusti ed interessi, oppure ad accedere al servizio usando direttamente il profilo dei social network.

Le definizioni più note ed accreditate di economia collaborativa3 (European Commission, 2013; NESTA, 2014; Wosskow, 2014) pongono come caratteristiche chiave del fenomeno l’elemento tecnologico e quello peer-to-peer; si è soliti inoltre raggruppare le pratiche empiriche secondo cinque categorie4: consumo collaborativo, produzione collaborativa, apprendimento collaborativo, finanza collaborativa, governance collaborativa (Tabella 1).

comoTabella 1. Le pratiche empiriche dell'economia collaborativa si possono raggruppare secondo 5 categorie.

Nonostante evidenti affinità, l’economia collaborativa accomuna esperienze e casistiche empiriche molto differenti tra loro, che vengono talvolta definite anche attraverso altre “etichette” – peer economy, crowd economy, access economy, gig economy, on demand economy (NESTA, 2014) – che a loro volta evidenziano aspetti diversi del fenomeno. Questa varietà di terminologie genera non di rado una certa confusione, suscitando sentimenti contrastanti nel pubblico di osservatori e stakeholder, dal momento che ogni definizione porta con sé importanti scostamenti di significato, e non manca il dibattito sugli impatti controversi di alcuni fenomeni (si pensi al tema della on demand economy) (Gray, 2014; Rampell, 2015).

In questo contributo ci si riferirà per chiarezza alla definizione “ampia” di economia collaborativa precedentemente illustrata, operando però una distinzione – che si ritiene significativa – tra:

  • esperienze di economia collaborativa di natura più civica e sociale, che vengono dal basso, rispondono alla crisi con un’economia alternativa, e usano le tecnologie digitali per valorizzare dinamiche collaborative di tipo mutualistico e solidaristico (es. banche del tempo, couchsurfing, social street etc.);
  • modelli di impresa-piattaforma che si collocano più nettamente nella sfera del mercato, usando l’innovazione tecnologica principalmente per estrarre valore economico da risorse diffuse e generare opportunità di consumo low cost (es. le grandi piattaforme come Uber e Airbnb).

Anche questo secondo modello può essere considerato espressione dell’economia collaborativa, nella misura in cui riesce a creare nuove modalità di incontro e coinvolgimento tra pari; la sua portata di innovazione sociale è però spesso minore rispetto al primo caso, dal momento che privilegia logiche di mercato e modelli di impresa più affini a quelli di stampo tradizionale.

 

Perché mettere in relazione economia collaborativa e imprese cooperative?

L’obiettivo di questo contributo è quello di confrontare e mettere in relazione il fenomeno dell’economia collaborativa e l’universo delle imprese cooperative, per capire se sia possibile immaginarne un’interazione; più nello specifico è interessante comprendere se sia possibile “usare” l’economia collaborativa come modello di innovazione per le cooperative.

Risulta immediatamente evidente che esistono alcuni elementi comuni tra cooperative ed economia collaborativa, sia a livello linguistico che di filosofia di fondo. La stessa terminologia lo evidenzia: economia della “condivisione”5, economia “collaborativa”, “cooperazione”. Si è senz’altro in un terreno vicino, ovvero il terreno di un’economia che vede nelle “persone” una risorsa fondamentale e nella “collaborazione” o “cooperazione” la forma più efficiente, efficace e sostenibile di “fare economia” e dare risposta ai bisogni6.

Dall’altra parte, come già evidenziato, i percorsi e i modelli che caratterizzano l’economia collaborativa non sono tutti uguali. Mantenendo la distinzione in precedenza proposta, si può affermare che la cooperazione si sente più affine soprattutto a quelle esperienze di economia collaborativa che vengono dal basso e che vedono i cittadini auto-organizzarsi usando le tecnologie digitali per valorizzare dinamiche di tipo solidaristico, mentre tendenzialmente si distanzia dai modelli di impresa-piattaforma – che pure vengono considerati economia collaborativa – ma che rispetto alle cooperative hanno minore portata collaborativa e maggiori criticità sociali.

Il confronto tra cooperative ed economia collaborativa risulta, nel complesso, non semplice. Questo è dovuto innanzitutto alle differenze tra le caratteristiche storiche e strutturali delle prime (consolidate come forma di impresa ormai da circa un secolo e mezzo) e le caratteristiche più fluide e indefinite (per il momento) della seconda (che si riferisce più a un “modello di servizio” che non ad una forma di impresa specifica)7. Per impostare un confronto efficace si cercherà di tenere separati i livelli da comparare, da un lato le tipologie di impresa coinvolte (“cooperativa” vs “piattaforma collaborativa”) e dall’altro i più ampi paradigmi o modelli socio-economici cui questi fanno riferimento (“cooperazione” vs ‘”economia collaborativa”).

Indipendente dal livello del confronto, le domande centrali per alimentare la riflessione possono essere così riassunte:

  1. Rispetto al portato storico, al radicamento sociale ed economico, e alle prospettive di sviluppo future delle cooperative, l’economia collaborativa è da vedersi più come una minaccia o come un’opportunità? Quanto è il rischio che le emergenti piattaforme collaborative spiazzino lo storico modello cooperativo, e quanto è probabile o auspicabile, invece, che si verifichi una qualche forma di sinergia e interazione positiva?
  2. Sotto quali profili possiamo immaginare l’eventuale interazione e contaminazione reciproca, e con quali conseguenze possibili per le cooperative? Quali spunti emergono per l’innovazione nelle cooperative e come si possono convertire le nuove sfide in opportunità? Quale ruolo giocano fattori come, ad esempio, la regolamentazione, la finanza e le dinamiche di cambiamento culturale in atto?

Prima di affrontare queste riflessioni nel contesto italiano e di riportare i risultati di una recente ricerca sul tema, si propone un breve accenno al dibattito internazionale.

 

Il dibattito a livello internazionale

La riflessione sulle possibili contaminazioni tra cooperazione ed economia collaborativa si ritrova anche a livello internazionale. I filoni di pensiero più noti al riguardo sono quelli che si rifanno ai concetti di open cooperativism (Conaty, 2014; Conaty, Bollier, 2014) e platform cooperativism (Scholz, 2014; Schneider, 2014, 2015). In entrambi i movimenti gli autori guardano alla possibile convergenza e sinergia tra movimento cooperativo ed economia collaborativa, con particolare enfasi sulle forme di peer production come mezzi per ri-orientare l’economia odierna e rinnovare la cooperazione, andando a costruire nuove forme di potere politico ed economico esterne alla logica del duopolio Mercato/Stato.

L’open cooperativism si concentra sulle potenzialità della peer production e del movimento dei commons per innovare la cooperazione e dare vita a forme economiche e sociali alternative e sostenibili8. Conaty e Bollier partono dal presupposto che il movimento cooperativo abbia un profondo bisogno di capire e sfruttare le nuove forme di organizzazione a base digitale, mentre i cittadini hanno bisogno di sviluppare nuove istituzioni e strutture giuridiche in grado di proteggere le loro risorse e comunità dalla logica del capitale (Conaty, Bollier, 2014).

L’open cooperativism suggerisce che una convergenza tra cooperazione e commons servirebbe ad affrontare due questioni irrisolte: il problema dei mezzi di sussistenza e del lavoro nell’economia basata sui commons (storicamente fragile da questi punti di vista) e il bisogno delle cooperative di sviluppare nuove forme organizzative che valorizzino le potenzialità offerte dal digitale. E la risposta a questo duplice bisogno potrebbe arrivare, almeno a livello transitorio, da una nuova ondata di cooperativismo “open”, che gli autori definiscono come un nuovo settore in grado di coniugare la capacità di fare pooling e redistribution delle risorse del movimento dei commons, con la capacità di generare economia sostenibile e mezzi di sussistenza delle cooperative.

Tra i possibili strumenti e percorsi per realizzare questa trasformazione, gli autori identificano: la costruzione di nuove forme di cooperative multistakeholder, lo sviluppo di strategie per implementare i sistemi di monete complementari, lo sviluppo di nuovi modelli di gestione delle risorse comuni (come l’housing a base cooperativa e i nuovi usi del territorio), la creazione di sinergie tra open network platforms (come il crowdfunding e crowdsourcing) e le strutture cooperative a base sociale, o ancora lo sviluppo di partnership innovative tra cittadini e amministrazioni per il governo dei beni comuni. Nella fase di transizione in cui si trova il movimento cooperativo europeo, gli autori pongono quindi le basi per ricercare nuove forme di legame e relazione che si ispirano alla peer production e che innovano la produzione e gestione dei beni comuni, forme che possano contaminare il mondo cooperativo e rigenerarlo grazie all’utilizzo di nuovi strumenti anche tecnologici.

Il platform cooperativism, invece, nasce per denunciare e offrire un’alternativa (cooperativa) al fenomeno del cosiddetto platform capitalism che si insinua all’interno dell’economia collaborativa. Il termine “platform cooperativism” è stato coniato da Sasha Lobo per definire la diffusione delle grande piattaforme capitalistiche che si definiscono – o vengono definite – di economia collaborativa, ma che poco hanno a che vedere con la collaborazione e creazione di valore condiviso, poiché sfruttano le potenzialità delle tecnologie e dei mercati peer-to-peer per estrarre valore da risorse diffuse dei cittadini e realizzare profitto da accumulare nelle mani di pochi (i proprietari della piattaforma) (Lobo, 2014). Si tratta quindi di una riflessione sui limiti del modello americano di sharing economy (in particolare delle piattaforme di lavoro on-demand) che ha grande sviluppo nella Silicon Valley.

Secondo il movimento del platform cooperativism, le nascenti piattaforme di economia collaborativa dovrebbero prendere le distanze dal platform capitalism ed apprendere dal modello cooperativo per affermarsi come portatori di reale valore sociale. Questo significa, innanzitutto, promuovere la proprietà condivisa della piattaforma in forma cooperativa, e poi dotarsi di una chiara regolamentazione delle forme di lavoro. Inoltre, un aspetto cruciale del platform cooperativism riguarda la generazione di relazioni sociali più significative, la cura del rapporto con il territorio e l’attenzione all’impatto sociale.

In generale il platform cooperativism vuole mantenere la tecnologia come cuore pulsante del modello piattaforma, ma trasforma la governance dandola in mano ad un’organizzazione di tipo cooperativo. Esistono casi di cooperative di lavoratori che condividono la proprietà delle piattaforme su cui vendono i propri lavori (es. Stocksy) o casi in cui i prosumer sono proprietari della piattaforma (es. Fairmondo, il supermercato online di cui consumatori e produttori sono proprietari).

Mettendo al centro del dibattito il tema della governance e le problematiche che derivano dalla scarsa regolamentazione a cui le piattaforme sono sottoposte, il platform cooperativism propone alcuni principi di autoregolamentazione: le piattaforma cooperative devono essere open source, la governance deve essere democratica e la piattaforma deve usare la tecnologia blockchain come modalità di controllo condiviso.

A nostro avviso, il tema posto è assai rilevante soprattutto nel contesto americano dove sono nate le principali piattaforme che riproducono il modello capitalistico, ma nel futuro diventerà senz’altro sempre più pressante anche in Europa, dove però grazie alla tradizione cooperativa e solidaristica (soprattutto di alcuni paesi, come l’Italia) sembra possibile – e auspicabile – un percorso diverso e di maggiore attenzione sociale.

Elena Como LAMA Development and Cooperation Agency

Francesca Battistoni Social Seed