14  DICEMBRE 2019
 
Dalla funzione sociale alla cooperativa di comunità: un caso studio per discutere sul flebile confine

Dalla funzione sociale alla cooperativa di comunità: un caso studio per discutere sul flebile confine

Abstract

Uno dei tratti definitori delle imprese cooperative è da sempre l’interesse per la comunità, tratto che può assumere diverse sfaccettature, emergendo come conseguenza indiretta e non programmata dell’azione o all’opposto come elemento identitario della propria mission. Così, quando oggi si parla di cooperative di comunità, il confine tra questa nuova forma organizzativa e quelle cooperative tradizionali che ricoprono una forte funzione sociale e coinvolgono nella loro base sociale elevate percentuali di cittadini diviene piuttosto flebile. Il paper riflette su questa linea di demarcazione attraverso il caso studio delle cooperative di consumo trentine, identificando in base a quali elementi anche queste cooperative potrebbero definirsi cooperative di comunità e discutendo sulle implicazioni che un’eventuale legge sulle cooperative di comunità potrebbe avere per queste cooperative (e simili).


Since longtime, one of the defining traits of cooperative enterprises is their interest in the community, a trait  that may acquire different features, thus emerging as an indirect and not-planned consequence of the action or, on the contrary, as an identificatory element of its own mission. Therefore, nowadays the boundary the boundary between the new organizational form of community cooperatives and that of traditional cooperatives, playing a strong social role and involving in their social base a large percentage of citizens, becomes somewhat weak. This paper focuses on this demarcation line by analyzing the case study of consumers’ cooperatives of the region of Trentino, by identifying the defining elements of these organizations as community cooperatives, and by discussing the effects that a targeted legislation may have on community cooperatives.

 

Introduzione

Nell’analisi dell’attuale scenario nazionale due dati emergono con chiarezza a sostegno del ruolo che la cooperazione riveste nel sistema socio-economico: la sua resilienza, la capacità di crescita e la propensione del movimento a rispondere a bisogni nuovi e in aumento. Guardando ai dati nazionali (Euricse, 2015) si rileva infatti che il numero di cooperative è cresciuto significativamente anche negli anni della crisi - assieme all’occupazione da esse generata - giungendo alle circa 70mila unità con 1.257.213 lavoratori occupati a fine 2013. Inoltre, tale crescita è stata garantita prevalentemente dal settore dei servizi sanitari ed assistenziali (che hanno registrato un aumento nel quinquennio 2008-2013 del 31% rispetto al valore della produzione e del 17,3% dell'occupazione). La lettura congiunta di questi dati pone di fronte ad una constatazione: la forma cooperativa rappresenta un modello resiliente e soprattutto capace di rispondere alla crisi anche per la sua capacità di internalizzare i problemi sociali, occupazionali e i bisogni emergenti trovando un modello solidale di risposta agli stessi. La cooperazione è in effetti, dal punto di vista definitorio e storico, un modello organizzativo generato dal basso, attraverso l’iniziativa di cittadini auto-organizzati, per rispondere ai fallimenti del mercato e dell’offerta di servizi da parte dell’ente pubblico. La cooperazione è una forma volontaria di azione coordinata e collaborativa tra soggetti che hanno un obiettivo diverso dal profitto.

E’ inoltre utile ricordare come nell’evoluzione storica della forma cooperativa siano progressivamente nate tipologie di cooperative atte a risolvere di volta in volta problemi collettivi diversi: i problemi della marginalità di alcune aree territoriali (con la conseguente capacità delle cooperative di rispondere ai bisogni di credito, di consumo, di occupazione delle stesse comunità); il problema crescente della carenza di servizi sociali o della scarsa qualità e diversificazione dei servizi offerti dal pubblico (che ha promosso la nascita negli anni ‘70 delle cooperative sociali); il problema della fornitura di energia nei territori limitrofi e della sua fornitura a prezzi non monopolistici (che ha stimolato lo sviluppo di cooperative di utenza). Per citarne alcuni.

Le problematiche collettive sono oggi diverse, ma si presenta con crescente frequenza - almeno in alcuni territori - la necessità di rigenerare il tessuto socio-economico, di sostenere lo sviluppo locale, di offrire una pluralità di servizi alla comunità, di ridare valore ai beni comuni, di investire con la comunità per la comunità. Forme auto-organizzate di cittadini hanno cominciato a riconoscersi come cooperative di comunità poiché vedono come tratto distintivo il coinvolgimento dei cittadini nella rigenerazione del proprio territorio. Anche dal punto di vista legislativo, alcune regioni (dalla Puglia alla Liguria, passando per il Piemonte) hanno promosso proprie normative istitutive della qualifica di cooperativa di comunità, assegnando a queste organizzazioni il compito di soddisfare interessi diffusi del territorio mantenendo una chiara funzione sociale. E’ l’ennesimo passo della cooperazione verso l’obiettivo di promuovere l’empowerment dei cittadini, il coinvolgimento attivo, la partecipazione alla realizzazione di beni comuni.

Dinanzi a questa naturale evoluzione, il sistema cooperativo e il legislatore nazionale stanno compiendo i primi passi per giungere a definire e regolamentare la nuova forma (o formula) cooperativa. Ciononostante, il percorso è alquanto articolato poiché l’istituzione di una nuova forma giuridica potrebbe rischiare di creare confusione nel movimento, competizione, iniquità di trattamento. Molti i punti aperti, anche se a ben guardare gli stessi ruotano di per sé attorno al macro-dilemma: quando possiamo definire un’impresa come “cooperativa di comunità”?

Il termine comunità rientra spesso nella missione delle cooperative, indipendentemente dalla loro forma, e il settimo principio cooperativo (ICA International Co-operative Alliance, 1995) parla esplicitamente dell’interesse delle cooperative per la comunità. La comunità è in sintesi uno stakeholder fondamentale per le cooperative, che alla comunità offrono spesso i loro servizi, che nella comunità sviluppano relazioni e fiducia, che sulla comunità riversano le loro ricadute sociali ed economiche, facendo quindi della comunità il soggetto della loro funzione sociale. Rispondere quindi alla domanda precedente richiede di definire il confine tra interesse per la comunità (o funzione sociale) e cooperativa di comunità.

Il presente articolo vuole riflettere sul tema per comprendere i possibili effetti, sulle cooperative esistenti, di una legge istitutiva delle cooperative di comunità. Se la tassonomia delle cooperative aveva finora identificato la tipologia in base allo stakeholder proprietario (il lavoratore, il produttore agricolo, il consumatore etc.) o in base all’oggetto allargato (l’azione sociale), l’introduzione di un concetto trasversale - quale potrebbe essere quello di cooperativa di comunità - potrebbe portare a discutere sull’identificazione delle forme esistenti nella nuova tipologia. Nel presente lavoro, dopo una riflessione sui parametri che possono definire una cooperativa di comunità e dopo aver ragionato sul teorico continuum tra funzione sociale e cooperazione di comunità, si affronta l’analisi della cooperazione di consumo per comprendere se e in qual modo una tipologia esistente di cooperative potrebbe convertirsi in impresa di comunità.

La scelta di analizzare la cooperazione di consumo nasce da una constatazione sulla sua struttura e natura: la cooperazione di consumo rappresenta in molti territori, soprattutto montani o rurali, una risposta alla marginalizzazione di aree a rischio di spopolamento, un soggetto che coinvolge nella propria base sociale percentuali anche molto elevate di cittadini, un’impresa in grado di offrire servizi essenziali anche diversificando progressivamente la propria offerta, un soggetto strettamente legato al territorio. Attraverso l’analisi di alcuni dati di ricerca, si vuole comprendere se, e con quali eventuali necessità riorganizzative, la cooperazione di consumo rappresenti o possa rappresentare una forma di cooperativa di comunità.

Rispondere a queste domande non è cosa semplice poiché mancano - quantomeno in Italia - precisi e condivisi riferimenti tanto normativi quanto teorici. Da una parte i riferimenti normativi sono pochi, in parte differenziati tra regioni e comunque non ancora espressione condivisa del movimento cooperativo; dall’altra, l’attenzione degli studiosi è stata rivolta prevalentemente alle cooperative di utenza e solo di recente le analisi teoriche ed empiriche si sono estese al concetto di cooperative di comunità, anche se concentrandosi, per ora, su singoli casi studio e su situazioni di recupero di beni pubblici da parte di cooperative.

I dati che si presentano sono frutto di una ricerca realizzata nel 2014 su 58 cooperative di consumo trentine attraverso la somministrazione di questionari. Il presente articolo presenterà un estratto dei risultati raggiunti, per evidenziare i tratti della funzione sociale di queste organizzazioni; l’analisi sarà poi integrata con interviste ai direttori di 3 cooperative di consumo che nel corso del questionario avevano ritenuto come realistica la possibilità di trasformarsi o identificarsi - in un prossimo futuro - in una cooperativa di comunità.

 

Il continuum: mutualità, funzione sociale, comunità

Mutualità e funzione sociale non si presentano come un ossimoro, quanto piuttosto come elementi definitori delle imprese cooperative. Infatti esse sono caratterizzate da: un governo democratico, rispettoso del principio “una testa - un voto” (e quindi di assegnazione ai soci di uguale potere decisionale indipendentemente dalle quote di capitale sottoscritte); mutualità, intesa come erogazione dei propri servizi ai soci-proprietari dell’organizzazione e quindi come perseguimento prevalente del loro interesse1; porta aperta, indicata dai principi cooperativi come accettazione nella base sociale di chiunque ne faccia domanda. L’allargamento al perseguimento del benessere della comunità locale è poi obiettivo esplicitamente previsto dal settimo principio cooperativo, denominato “interesse verso la comunità”. Cita infatti lo stesso principio della Dichiarazione di identità cooperativa: “Le cooperative operano per uno sviluppo durevole e sostenibile delle proprie comunità attraverso politiche approvate dai propri soci” ossia esse hanno non solo un carattere puramente imprenditoriale o mutualistico, ma il compito di contribuire a risolvere i problemi sociali ed economici della comunità (ICA International Co-operative Alliance, 1995).

Da qui l’emergere dei due concetti di mutualità e di funzione sociale, con i quali si vuole esprimere rispettivamente l’attenzione agli interessi del socio-proprietario piuttosto che della società nel suo complesso. La funzione sociale viene in particolare già ad introdurre il fatto che la cooperativa rivesta, nella propria comunità di riferimento, un ruolo particolare (Bagnoli, 2011; Bonella, 2001).

Quale differenza, allora, tra l’essere cooperativa tradizionale che esprime la propria funzione sociale perseguendo anche l’interesse della comunità e cooperativa di comunità? In assenza di una regolamentazione nazionale o di un’univoca condivisione di quali siano i tratti che definiscono una cooperativa di comunità, la sovrapposizione - e confusione - tra i due concetti potrebbe essere alta. Ci sembra tuttavia esplicito nella definizione stessa di funzione sociale un elemento che contraddistingue le cooperative ordinarie con funzione sociale dalle cooperative di comunità: nel primo caso la cooperativa dimostra “interesse verso” la comunità; nel secondo è “costituita dalla” comunità.

In altri termini, la demarcazione tra funzione sociale delle cooperative ed essere cooperativa di comunità potrebbe derivare innanzitutto dalla prevalenza dell’obiettivo: per le cooperative con funzione sociale, l’obiettivo prevalente è il benessere dei soci e il prodotto indiretto dell’attività è il benessere della comunità, mentre per le cooperative di comunità obiettivo primario è rispondere ai bisogni (anche eterogenei) della comunità. Limitandoci a questa prima distinzione (obiettivo) potrebbe accadere che cooperative situate in zone periferiche (prevalentemente rurali o montane, ma anche quartieri urbani caratterizzati da problematiche comuni) possano essere definite cooperative di comunità nel momento in cui riescono ad assumere come obiettivo prevalente lo sviluppo del territorio e il sostegno dei sistemi socio-economici locali. Le piccole cooperative di consumo, ad esempio, rappresentano per alcune aree territoriali l’unico esercizio commerciale per soddisfare il bisogno primario alimentare della comunità. Le cooperative agricole hanno garantito spesso la sopravvivenza di culture e attività economiche prevalenti, rispondendo al rischio di declino demografico e mantenendo vive e sostenibili le comunità. Ed altri potrebbero essere gli esempi da cui dedurre che sicuramente la funzione sociale di queste cooperative è rilevante e forse rappresenta, anche se non lo dichiarano, un obiettivo primario dell’attività.

Altro criterio per distinguere tra funzione sociale delle cooperative e cooperative di comunità potrebbe essere quello della composizione della base sociale. Se le cooperative rappresentano tipicamente una sola tipologia di portatori di interessi, le cooperative di comunità dovrebbero avere una base sociale e una governance inclusiva della comunità. Anche da questa prospettiva, si possono avere casi ibridi: in molti territori periferici e tanto più laddove la forma cooperativa rappresenta una sorta di monopolista locale (se non dal punto di vista economico-operativo almeno da quello culturale) si verifica che l’intera comunità partecipa alla cooperativa ed è quindi socia. Esistono così, ad esempio, cooperative di credito in cui tutti o quasi gli abitanti del territorio sono soci e non solo clienti della banca; cooperative di consumo nelle quali ogni cliente ha anche deciso di sottoscrivere la quota di adesione come socio. Talvolta per convenienza economica; talvolta più per condivisione valoriale e comprensione del ruolo che la cooperativa ha per il proprio territorio.

In entrambe queste prospettive, un fattore sembra comune: la cooperativa diviene un elemento naturale di (interesse per la) comunità quando si colloca in territori marginalizzati per rispondere a problemi collettivi. Questi elementi permettono infatti di riconoscere in maniera più caratterizzante la “funzione sociale e comunitaria” della cooperativa. Il criterio della territorialità e dell’azione in territori marginalizzati può quindi essere adottato come distintivo per la definizione delle cooperative di comunità? Alcune leggi regionali sembrerebbero andare in questa direzione, riconoscendo l’appellativo (o qualifica per ora) di cooperative di comunità a quelle cooperative situate in territori circoscritti, identificabili e marginalizzati, dove il ruolo della cooperativa è contrastare fenomeni di abbandono, spopolamento, declino economico e degrado sociale o urbanistico. Criterio forse limitativo, se finisse per escludere quelle cooperative che anche nelle grandi aree urbane o con appendici disseminate sul territorio presentano comunque tratti del soddisfacimento di bisogni essenziali della comunità.

Da qui emerge un altro elemento che potrebbe - o dovrebbe - distinguere le cooperative di comunità dalla mera funzione sociale: l’oggetto dell’attività condotta. Se la cooperativa di comunità deve soddisfare un bisogno comune o collettivo, esso corrisponderà prevalentemente ad un bisogno primario dell’uomo ovvero di natura prevalentemente sociale, ricadendo nell’area dei servizi pubblici. Tuttavia, se il criterio dell’oggetto viene applicato in maniera restrittiva, vengono di conseguenza escluse dall’essere classificate come cooperative di comunità tutte quelle organizzazioni che pur avendo una funzione o ricadute sociali, sono attive in settori tradizionali.

Infine, ma certamente non da ultimo, le cooperative di comunità possono essere identificate in quelle organizzazioni che puntano a recuperare, riqualificare e sviluppare le risorse tangibili e intangibili di un determinato luogo, con l’obiettivo di rilanciarne lo sviluppo socio-economico e di soddisfare anche indirettamente i bisogni e gli interessi di tutti i membri di quella comunità, e non solo di una parte di essi. In tale visione, la cooperativa di comunità deve essere legata al recupero di beni del territorio e alla valorizzazione degli input locali e produrre beni, anche eterogenei, rivolti a tutti i membri della comunità. Verrebbero quindi escluse dalla qualifica di cooperative di comunità tutte quelle organizzazioni che non recuperano asset o risorse locali utilizzandole poi per offrire servizi di interesse comunitario. I casi di cooperative di consumo, agricole o di credito descritti in precedenza non assumerebbero quindi le forme di cooperative di comunità se non i casi eccezionali e diversificando la loro attività.

Difronte ad un vacuum legislativo che definisca la cooperativa di comunità, quindi, la riflessione non può che guardare, congiuntamente, ai fattori sopradescritti e alle diverse declinazioni che l’interesse per la comunità può assumere. E’ interessante ricordare il significato che la parola “comunità” può avere: per l’ecologia, la comunità è l’insieme degli organismi e degli individui che condividono uno stesso sistema geograficamente limitato; in senso sociologico, la comunità è identificata da tradizioni e valori identitari che accomunano gli appartenenti al gruppo; l’approccio psicologico afferma che la comunità è l’istituzione massima in grado di influenzare comportamenti e senso di appartenenza dell’individuo e di garantirne la protezione attraverso una rete sociale. Più dettagliatamente poi, si riconosce nella comunità societaria il sottosistema della società che ha come funzione l’integrazione, che è basato sulla lealtà e che presuppone che i suoi membri rispettino l’interesse collettivo e la solidarietà interna. Se le cooperative sono in generale organizzazioni del territorio, in grado di sviluppare fiducia, solidarietà e valori tra i loro appartenenti, con l’obiettivo di soddisfare bisogni collettivi, allora certamente la comunità è al centro dell’azione cooperativa.

fig1 Figura 1: La costellazione dell’impresa cooperativa nello spazio della socialità dell’azione

Una costellazione di cooperative, all’interno di uno spazio caratterizzato dalle molteplici sfaccettature della territorialità, della socialità dell’azione e del coinvolgimento della comunità, può in sintesi schematizzare l’eterogeneità dei modelli (Figura 1): da cooperative in cui la comunità sono i soci e il concetto prevalente è la mutualità; a cooperative con spiccati obiettivi e funzione sociale, in cui i cittadini di un territorio identificato appartengono alla base sociale della cooperativa e perseguono obiettivi simili e di interesse generale per rafforzare dal punto di vista economico-sociale il proprio territorio; a cooperative in cui la comunità ha fondato l’organizzazione con l’esplicito obiettivo di valorizzare risorse locali e recuperarne asset al fine di soddisfare esigenze collettive, sociali, eterogenee.

Dalla riflessione si qui proposta, nasce quindi la domanda di quali siano i tratti che fanno di una cooperativa che è oggi costituita secondo le ordinarie forme giuridiche una cooperativa di comunità. O quali sarebbero, secondo una diversa prospettiva, i cambiamenti che una cooperativa ordinaria dovrebbe affrontare per divenire impresa di comunità? Già ora alcune cooperative si auto-definiscono “di comunità” poiché si riconoscono fortemente negli elementi della territorialità, dell’azione di sostentamento e recupero di territori e di società a rischio di marginalizzazione, e nel coinvolgimento di intere comunità nella propria base sociale.

Partire da un settore specifico ed identificare per una specifica forma cooperativa i tratti della funzione sociale, della sua azione per la comunità (e ad opera della comunità) permetterà nel seguito del paper di rispondere, almeno parzialmente, alle domande poste. Il modo più semplice per analizzare i tratti distintivi delle cooperative oggetto di indagine è verificare quanto esse possano definirsi sociali negli obiettivi piuttosto che strettamente mutualistiche.


La ricerca empirica

Le piccole cooperative di consumo rappresentano sotto più profili un esempio concreto di cooperative con caratteristiche vicine a quelle delle cooperative di comunità: coinvolgono nella loro base sociale ampie percentuali di popolazione locale; agiscono spesso in territori marginalizzati, montani o rurali, dove il rischio di spopolamento è elevato; offrono servizi essenziali e di interesse generalizzato, agendo spesso come uniche garanti del mantenimento dell’offerta di prodotti di prima necessità. Analizzare questo settore sembra quindi adeguato per cominciare ad interrogarsi su quanto queste cooperative abbiano semplicemente una funzione sociale (seppur consistente), quanto esse continuino a mantenere come prevalente l’interesse dei soci piuttosto che quello della comunità, o quanto al contrario stiano diventando istituzioni volte a soddisfare bisogni anche diversificati dei cittadini e della comunità, secondo logiche strettamente collettive e partecipate.

L’analisi che segue prende come riferimento cooperative di consumo trentino, prevalentemente organizzazioni di piccola dimensione, dislocate in quasi tutte le municipalità presenti nella provincia, soprattutto in valli e piccoli centri. La metodologia utilizzata è la raccolta dati attraverso questionario2; in questo articolo verranno presentate solo le domande pertinenti con la dimensione comunitaria. Alcune sezioni del questionario permettono di distinguere tra diversi livelli in cui si struttura la funzione sociale e il rapporto con la comunità.

Primo aspetto di analisi è l’attivazione del socio, non solo in termini di partecipazione economica e proprietaria, ma come suo coinvolgimento nella realizzazione di nuove attività e servizi, nonché la presenza di “iniziative sociali” della cooperativa come: educazione al consumo consapevole; campagne in difesa della salute o a sostegno della solidarietà locale o internazionale; iniziative per rendere la base sociale responsabile e partecipe (con due possibili ripercussioni: da un lato accrescere il capitale sociale, dall’altro ampliare la percezione dei bisogni del socio e l’attenzione dello stesso alle problematiche della comunità).

Altro fattore analizzato è l’attenzione della cooperativa ai bisogni del territorio e la capacità di promuovere politiche per affrontarli. Il territorio esprime realtà e culture diverse: compito della cooperativa di comunità dovrebbe essere anche quello di cogliere e valorizzare tanto le proprie specificità territoriali quanto le diversità di bisogni, prospettive, sensibilità presenti nella collettività.

Infine, si è chiesto alle cooperative se si sentono cooperative di comunità o vedono come prospettiva futura il divenirlo.


La cooperazione di consumo in Trentino

Le cooperative di consumo - aderenti alla Federazione Trentina della Cooperazione - oggetto dell’indagine sono 76, di cui due risultano inattive e la cui gestione è affidata al consorzio di riferimento. La localizzazione geografica evidenzia una distribuzione capillare, che va ad interessare tutte le valli, ed in molti casi anche centri abitati di piccolissime dimensioni.

Nel 2013 erano 204 le località del Trentino in cui il punto vendita cooperativo rappresentava l’unico negozio dove acquistare beni alimentari a costi contenuti. Nel dettaglio, il 29,7% delle cooperative di consumo esercita la propria attività in aree con meno di 1.000 abitanti ed un ulteriore 21,6% in zone con un numero di abitanti compreso tra 1.000 e 2.500. Le cooperative di consumo riescono ad avere un forte impatto sul territorio anche grazie alla presenza, in molti casi, di filiali distaccate in comuni di piccolissime dimensioni, aspetto che va ad amplificare la relazione con le comunità locali. A titolo comparativo, sono parte dell’universo delle cooperative di consumo anche quelle cooperative che, con la propria attività e spesso con più filiali agiscono in territori con più abitanti: il 25,7% delle cooperative di consumo trentine ha come territorio di riferimento aree con un numero di persone comprese tra i 5.000 ed i 10.000 e nel 10,8% agiscono in aree con più di 10.000 abitanti.

Si devono poi tenere presenti alcune altre specificità delle cooperative analizzate. In primo luogo, il loro radicamento storico: il 53,5% delle cooperative di consumo analizzate vede la sua origine nei primi anni di sviluppo del fenomeno cooperativo in Trentino (fine diciannovesimo secolo) e un altro 31% presenta esperienza quasi centenaria essendo stata fondata prima del 1925. In una storia così radicata, anche le relazioni con la comunità e l’elemento della territorialità vengono ad assumere dimensioni molto forti, poiché le cooperative sono ormai considerate in tutto e per tutto come le organizzazioni del e per il territorio. E’ vero tuttavia che anche laddove il radicamento è elevato, le pressioni concorrenziali e le necessità economiche hanno portato, negli anni, molte cooperative di consumo ad esasperare la dimensione commerciale, sacrificando talvolta la visione dell’interesse del socio o della comunità.

In secondo luogo, le possibili politiche di apertura alla comunità da parte delle cooperative di consumo potrebbero essere spiegate anche da una diversa capacità economico-finanziaria e da rischi di insostenibilità di lungo periodo tali per cui le cooperative più in difficoltà tendono a ricercare un maggior coinvolgimento della comunità e ad un ampliamento dei servizi offerti più per necessità che per missione. Le cooperative di consumo trentine sono caratterizzate, sotto questo profilo, da un fatturato nel 56,6% dei casi inferiore a 3 milioni di euro; solo il 10,5% delle cooperative presenta un valore superiore ai 10 milioni di euro e si tratta - in linea con le aspettative - delle cooperative situate nei centri di maggiori dimensioni.

Rispetto all’universo sin qui descritto, ha risposto all’indagine il 74,4% delle organizzazioni (58 cooperative su 78). La rappresentatività statistica dell’universo risulta buona sia dal punto di vista della copertura territoriale, che per numero di soci e per dimensione economico-finanziaria.

Nei punti che seguono, alcune delle domande del questionario sono state aggregate per mettere in rilievo le caratteristiche che potrebbero distinguere una cooperativa tradizionale da una cooperativa di comunità: l’azione in e per territori marginalizzati, il coinvolgimento attivo della comunità e dei suoi stakeholder, la mission e l’azione a favore della comunità, il confine tra funzione sociale e azione di comunità.

Sara Depedri Euricse - Università degli Studi di Trento

Stefania Turri Euricse